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Unsane

Eclettico sperimentatore Soderbergh cala lo spettatore in un'atmosfera allucinatoria e di inquietudine

Non molti cineasti possono essere definiti sperimentatori e multiformi come Steven Soderbergh, in grado di passare dal più classico modello di Blockbuster americano con la trilogia Ocean’s a film intimi e indipendenti come Bubble (2005), Full Frontal (2002) o il suo esordio Sex, Lies and Videotape (1989). Anche in questa stagione estiva non mancherà di sorprendere, tornando dopo Logan Lucky (2017) con Unsane (2018), la sua prima incursione nel genere horror. Il lungometraggio presenta molte ambiguità sin dal suo annuncio; le riprese vengono effettuate in segreto nell’arco di soli dieci giorni e vengono interamente realizzate con il solo ausilio di un iPhone 7 plus.  Caratteristica che presto diventerà la sola componenete per cui il film sarà posto all’attenzione generale.

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Nel corso della narrazione seguiremo le disavventure di Sawyer, ragazza dalla promettente carriera che si ritroverà apparentemente accidentalmente ricoverata in un ospedale psichiatrico. Le sue denuncie per stalking vengono infatti scambiate per manifestazioni ossessive e paranoidi, che lo spettatore stesso farà gran fatica a distinguere. Pur essendo nuovo al genere, Soderbergh si dimostra abile nel sapere come mantenere e accrescere la tensione confezionando un film dell’orrore che versa abilmente sul lato psicologico. L’epilogo invece, che in diversi punti sfocia nell’eccesso, esplode fragorosamenete  nella fisicità tipica del sottogenere slasher, lasciando poco spazio all’angoscioso clima sapientemente infuso nella prima parte. La tanto criticata scelta di girare il tutto con un telefono cellulare, a detta del regista per dimostrare le potenzialità di un mezzo oggi alla portata di tutti, si rivela strategica. Seppur una preferenza simile sia difficilmente avallabile; la mancanze di profondità di campo, l’appiattimento e la distorsione grandangolare dell’immagine causa dall’inadeguatezza delle lenti, si rivelano elementi funzionali alla creazione di una atmosfera allucinatoria e di inquietudine.

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A fare da protagonista è la bella e talentuosa Claire Foy (The Crown, Season of the witch), affiancata da Joshua Leonard ormai abituale interprete di pellicole dell’orrore (The Blair Witch Project, Shark Night, Prom Night). Ad accompagnare il cast principale una isterica ed irriconoscibile Juno Temple (Atonement, Maleficient) e Matt Damon in un gustoso cameo omaggio all’amicizia con il regista. Realizzato con un ridottissimo budget di poco più di un milione di dollari e presentato alla Berlinale è la dimostrazione che Soderbergh vuole darci dell’inconsistenza dei limiti di mezzi a fronte di idee valide, nonché una importante lezione sul non smettere mai di rinnovarsi che darà da riflettere.

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