Un film che parte come un neo-noir postmoderno, con tutti i topoi del caso, ma che riesce a non finire nella trappola vischiosa della nostalgia, raccontando in maniera disillusa una storia di generazioni perdute, sogni infranti e aspirazioni disattese.
Il “nuovo” film di Zhang Yimou, presentato fuori Concorso a Venezia 75 come un capolavoro ma subitaneamente scomparso dai radar della distribuzione nostrana.
In una città duplice come Dakar, dove una nuova identità modernissima e futuristica sta sbucando dal nulla, Mati Diop attinge dalle tradizioni religiose e sociali per riflettere sul presente.
Abbandonato l’horror in favore di un neo-noir d’autore, il regista statunitense ha scritto, prodotto e diretto un film di rara ambizione, ma di scarsa riuscita.
Un’opera ibrida e trasognata, dove la denuncia sociale prende la forma di una visione onirica e poetica, lieve all’apparenza, ma cruda e potente negli esiti finali