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Under the Silver Lake

Abbandonato l’horror in favore di un neo-noir d’autore, il regista statunitense ha scritto, prodotto e diretto un film di rara ambizione, ma di scarsa riuscita.

Circa ogni anno esce un film che fa urlare la critica alla rinascita del genere horror. A volte si tratta di abbagli, a volte no. Hereditary nel 2018, Get out nel 2017, Under the Shadow nel 2016, The VVitch nel 2015 e It Follows nel 2014 (e di seguito). Più di rado, poi, arriva quel film che ridefinisce lo stato del cinema stesso (tipo Mulholland Drive di Lynch, per capirci – che vi piaccia o no). Dopo aver conquistato pubblico e critica con It Follows (presentato a Cannes 67 nella Semaine de la Critique), horror indie di grande intelligenza nella forma e nei contenuti, David Robert Mitchell ha tentato il grande salto con il suo terzo lungometraggio, Under the Silver Lake (2018).

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Abbandonato l’horror in favore di un neo-noir d’autore (proprio sulle orme di Mulholland Drive, non a caso), il regista statunitense ha scritto, prodotto e diretto un film di rara ambizione, ma di scarsa riuscita. Alla fotografia si conferma l’ottimo Mike Gioulakis, già al lavoro con Mitchell per It Follows e con Jordan Peele per Us (che – in parte – soffre dei medesimi difetti di Under Silver Lake). Il film, preceduto da spasmodica attesa, è stato presentato – con tutti gli onori del caso – in concorso al Festival di Cannes 2018. Poi il gelo. La A24, che ne aveva acquistato i diritti per la distribuzione USA (subodorando probabilmente un nuovo cult in tono col loro catalogo), aveva programmato l’uscita del film per giugno 2018, subito dopo la chiusura del Festival, per poi spostarla a dicembre e poi ancora ad aprile 2019, quando Under the Silver Lake finalmente ha visto il buio della sala in una limited release in due cinema. E con due cinema si intende proprio due di numero. Una prassi abbastanza comune per alcuni distributori che in questo modo tastano il terreno prima di una distribuzione capillare, che in questo caso poi non c’è stata. La parabola di Under the Silver Lake è stata quella di un film ambiziosissimo che nessuno vedrà mai.

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Il film segue la vicenda di mistero e paranoia di un giovinotto, Andrew Garfield, un Raimond Chandler in versione amatoriale, che finisce in una spirale di assurde teorie cospirazioniste e messaggi segreti, nascosti qui e là nei modi e nei luoghi più impensabili. Il tono malinconico e bizzarro si alterno a quello più sensuale e misterioso, sequenza dopo sequenza la paranoia incalza ma il film arranca per due ore e mezze continuando a girare su sé stesso, in un continuo gioco di sterili citazionismi. Vizio di forma di Paul Thomas Anderson o Bug di Friedkin purtroppo sono orizzonti ben lontani.

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Under the Silver Lake è vero e proprio minestrone di maniera postmoderna, in sospeso tra De Palma, Lynch, forse Wes Anderson e a un certo punto anche, perché no, Jodorowsky. Le citazioni si affastellano l’una all’altra soffocando tutto. Pericolosissimo addentrarsi nell’elenco dei riferimenti, si rischia di cadere nella tana del Bianconiglio, senza ritorno. Un cinema che lavora sui suoi simulacri piuttosto che riflettere sulle forme e i modi del linguaggio e che, quindi, a dispetto del titolo, si muove solo sulla superficie di un immaginario bulimico e ridondante, che sembra solo voler mettere in mostra l’erudizione cinefila del proprio autore.

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