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Pet Sematary

Il “King Cinematic Universe” si espande e resuscita sul grande schermo anche Pet Sematary.

Ogni lettore appassionato di horror prova un moto di speranza e terrore di fronte all’annuncio di un adattamento da uno dei tanti romanzi di Stephen King. Il suo universo letterario è un vero archivio di storie, una fonte inesauribile di soggetti per il grande schermo. E tra un capitolo di It e l’altro – la seconda parte in autunno – trova spazio anche Pet Sematary, remake del Cimitero vivente (1989) di Mary Lambert. Il “King Cinematic Universe”, come tutte le galassie, si espande. O forse non ha mai smesso di espandersi dal 1976, quando Brian De Palma realizzò Carrie, dall’omonimo primo libro del Re del brivido, una delle migliori trasposizioni cinematografiche. Sarebbe impresa audace fare una panoramica di tutti i film tratti dagli scritti di King – si parla di più di 90 titoli, tra corti, lungometraggi (per il cinema o per la televisione) e serie televisive; ma l’ennesima pellicola che pesca nel mondo macabro dello scrittore del Maine spinge a qualche riflessione sul rapporto tra le pagine del prolifico autore e il cinema.

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Il grande valore riconosciuto a King sta nella sua capacità di creare narrazioni che hanno il potere atavico delle storie declamate attorno al fuoco, quei racconti da ascoltare con curiosità, stupore e meraviglia. Affabulazione: un incantesimo così magico da originare visioni palpabili e vivide. Dalle parole alle immagini il passo è breve, proprio perché lo stile di King, immediato nella forma, ha una natura cinematografica e si presta all’adattamento audiovisivo. Il punto è: che cosa adattare? Un’immagine semplice ma efficace quanto un clown inquietante oppure la difficoltà di crescere e diventare adulti? In molti dei più bei romanzi dello scrittore ogni elemento trova un suo speciale modo di funzionare: la bella e terrificante forma è riempita di contenuti universali e la paura umana ha la sagoma di una barchetta di carta che finisce dentro un oscuro tombino. Alcuni recenti adattamenti prendono l’involucro, un plot spogliato dai suoi significati, e lo buttano sullo schermo, scollando il contenuto dalla forma. È il caso del remake di Carrie (2013) di Kimberly Peirce, dove Chloë Grace Moretz è troppo carina per rappresentare il disagio di Carrie White. Oppure La torre nera (2017) di Nikolaj Arcel, che banalizza la lunga e complessa saga ideata da King (con un insensato miscasting politicamente corretto per il protagonista). Se si sceglie di tradire l’originale, ci deve essere un motivo sostenuto da scelte narrative sensate e coerenti. Meglio allora seguire le orme dei furbi Duffer Brothers che rubano molto a King nella costruzione del loro mondo anni ’80 (soprattutto per il personaggio di Eleven, ispirato alla protagonista de L’incendiaria).

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Ma arriviamo a Pet Sematary di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer. La storia rimane invariata fino a metà per poi deviare rotta sul finale. Ma il forte cambio di trama, non un problema in sé, non ha la grinta necessaria e il nodo della narrazione – accettare il lutto – viene sminuito con trucchetti dello spavento, tra jump scares e processioni di bambini con maschere di animali. Lo stesso posto che dà il titolo al film è un cimitero come ce ne sono tanti negli horror, un luogo che non assume mai lo status di simbolo che ha nel libro, l’immagine metaforica della paura mista a fascinazione per la morte. I personaggi, che nei libri di King sono sempre persone tormentate da demoni interiori (follia, senso di colpa, ossessione, angoscia) reagiscono alle situazioni con un banale meccanismo di causa-effetto. La semplice complessità del romanzo di King è appiattita sullo schermo, non c’è spazio per indagare l’animo umano. Se ci si attiene soltanto al plot, non ci possono essere sorprese o soluzioni memorabili che vadano oltre lo spavento immediato. A differenza dei redivivi del cimitero indiano, il film rimane sepolto dopo la prima visione.

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Sono storie facili, quelle di King, ma non per questo scontate o elementari. Ha scritto fiumi di parole che affascinano per la loro capacità di toccare corde sensibili, per l’abilità nel dare forma (e quindi esorcizzare) le nostre più intime e contorte paure. Se però si toglie il potere affabulatorio, se si svuotano i fantasmi dai grovigli psicologici interiori, cosa rimane? Solo un pagliaccio assassino, uno scrittore preso in ostaggio da una fan, ragazze con poteri paranormali. E solo un lugubre cimitero che riporta indietro i morti.

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