Deadtown

Il comico incanto di Castel dei Mondi

Sacchi di Sabbia e Fratelli Forman nella XXI edizione del festival andriese

La Puglia e il Teatro, (recente) storia di un paradosso. Che il ricco e fragile territorio pugliese, teatralmente parlando, proprio non riesca a farsi mancare niente è una notizia ormai abbastanza nota. Così come è noto che negli ultimi anni ci sia stata una sorta di inversione di tendenza che sta conducendo il suo fiorente panorama teatrale verso un sempre più dubbioso destino.

Per farsi una piccola idea ricordiamo, in ordine sparso, il più antico teatro di Bari – il Piccinni – e la sua lentissima opera di ristrutturazione bloccata a più riprese da complicazioni burocratiche; un sistema teatrale regionale che nel corso degli anni ha rappresentato un esempio per l’intera penisola abbandonato (prima) e modificato (dopo) in virtù di un futuro ancora tutto da scoprire; compagnie e direttori artistici costretti a realizzare, programmare e soprattutto a rendicontare sulla base di finanziamenti incerti. Poi c’è Andria, città sprovvista di un edificio teatrale e sede di Castel dei Mondi, uno dei più duraturi e prestigiosi festival dell’intera regione.

Ma stiamo pur sempre parlando di Teatro; storicamente il paradosso è nella sua natura, non è vero? In fondo, da Eschilo a Pirandello – passando per Diderot – crudeli, bizzarre, affascinanti e illogiche incongruenze sono andate a braccetto con questa arte che si è sempre proposta di indagare la realtà attraverso la finzione. E se la base è questa, proprio non possiamo lamentarci.

Magritte - Il falso specchio

René Magritte Le Faux Miroir (1929) ©MoMA, New York

Condizioni o situazioni paradossali di certo non mancano in alcuni degli spettacoli presenti in questa XXI edizione del festival andriese. E proprio non possiamo non aprire con Il paradosso dell’attore 2000 – Questua è la mia vita della compagnia Nano Egidio, evoluzione, o meglio, involuzione del celebre trattato sull’arte attorale scritto nella seconda metà del Settecento dal filosofo francese Denis Diderot. Questa breve incursione itinerante vede come protagonista Tommaso Salati, giovane attore il cui talento è messo in discussione perfino dai suoi cari. Ma egli non demorde e sa che per diventare più bravo dovrà frequentare numerosi e costosi corsi di recitazione, il tutto senza voler abbandonare la professione di attore. Quand’ecco che, aiutato dai suoi “compari”, dà in pasto il proprio corpo agli spettatori, letteralmente chamati a schiaffeggiarlo o addirittura frustarlo in cambio di pochi spiccioli. La violenza, così, diventa condizione vitale per il raggiungimento di un obiettivo: non siamo ai livelli del film Whiplash (Damien Chazelle, 2014) ma la morale è indubbiamente cruda e amara.

Questi simpatici siparietti hanno aperto due degli spettacoli più apprezzati del festival. Partiamo da I 4 moschettieri in America dei Sacchi di Sabbia, esilarante e briosa messinscena che si presenta come un sequel della trasmissione in voga negli anni Trenta di Nizza e MorbelliI quattro moschettieri –, parodia radiofonica del celebre romanzo di Dumas.

Situazioni surreali, colpi di scena e continue meraviglie di fattura artigianale si alternano sul palco per dar voce a questi spadaccini desiderosi di rivalutare il proprio passato glorioso, anche a costo di svendersi all’industria cinematografica hollywoodiana. Ma il sogno americano si rivela più complicato del previsto, e ben presto il desiderio di rivalsa si trasforma in beffa, specie in una terra in cui vengono scherniti persino dai propri tentativi di suicidio.

Foto ©Paola Pomarico

Sacchi di Sabbia I 4 moschettieri in America. Foto ©Paola Pomarico

Testo stralunato, contaminazioni che vanno dal cinema al fumetto, ombre cinesi, libri pop-up animati, voci off, scene e sagome disegnate dal vivo dal pittore Guido Bartoli, lo spettacolo è un’imprevedibile baraonda di mezzi espressivi, mentre i Sacchi (Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Giulia Solano), con i loro volti imperturbabili ma allo stesso tempo spaesati, alimentano con tenacia e precisione chirurgica la sempre più assurda e caotica atmosfera destreggiandosi tra inconcludenti impresari, mafiosi vendicativi, irresistibili ballerine e spassosissimi titolari di imprese funebri. Una costante sorpresa in cui l’imprevedibilità, dunque, si trasforma in carburante necessario a riaccendere l’ardore e l’intraprendenza di moschettieri dalla vitalità senza fine.

Foto ©Paola Pomarico

Sacchi di Sabbia I 4 moschettieri in America. Foto ©Paola Pomarico

Ilarità e incanto quindi: condizioni emotive che non faticheremo a ritrovare anche il giorno seguente con un lavoro formalmente molto differente da quello della compagnia pisana. Dall’America degli anni Trenta al Far West, infatti, il passo è brevissimo. Parliamo dell’attesissimo spettacolo circense dei Fratelli Forman – Petr e Matej, figli del grande regista Miloš – che, dopo aver ammaliato Andria nel 2009 con Obludarium, tornano nella città pugliese con un omaggio al genere western (e all’intera arte cinematografica): Deadtown. Basta fare qualche passo all’interno della struttura – costruita dalla stessa compagnia ceca – per essere catapultati in un vecchio film western con tanto di saloon, ballerine, pistole e fucili. E la prima parte dello spettacolo è tutto stupore e meraviglia, con musicisti che suonano il banjo, palchi mossi a vista che avanzano e arretrano, scale che scompaiono e ricompaiono, balletti, sparatorie e numeri su bici memorabili. Fine primo tempo. Il messaggio non appare esplicitamente ma è come se ci fosse.

Già, perché il passaggio tra la prima metà (più tecnica) e la seconda (più narrativa) è brusco, forse anche troppo per uno spettacolo di tale (alto) livello. Tutto si ferma e veniamo trasportati nel vero West, con immagini proiettate su diversi schermi che richiamano la frontiera di John Ford e un gioco continuo – mediante un velatino che separa palco da platea – di soggettive esterne e interne al saloon volte a invitare chiaramente lo spettatore a immergersi totalmente nella dimensione parallela. E da quel momento si percepiscono più chiaramente il sapore del whiskey versato nei bicchieri e il fragore delle pallottole che fuoriescono dalle pistole. Si entra nel loro mondo e anche questo, pur con qualche eccessiva ripetitività formale, riserva notevoli sorprese.

John Ford si diceva, ma i richiami al cinema non si esauriscono di certo qui. Dalla proprietaria del saloon che ricorda Peggy Lee di Johnny Guitar (Nicholas Ray, 1954) alle musiche degli spaghetti western di Sergio Leone; dagli espedienti slapstick a ritmo accelerato simili a quelle di Sherlock Jr. (Buster Keaton, 1924) alla luna guardinga, inequivocabile omaggio a Méliès (Viaggio nella Luna, 1902). In questo continuo citare sempre in maniera originale, la storia del protagonista, un forestiero in terra straniera che per certi versi ricorda l’Athos dei Sacchi di Sabbia, si intreccia alle altre dei protagonisti in scena che, tra mille bevute, amori impossibili e pistoleri incalliti trovano come unica soluzione alle loro perenni sofferenze un mexican standoff che non salva nessuno o forse tutti. In fondo, siamo pur sempre a Deadtown.

Deadtown

Fratelli Forman Deadtown. Foto ©Forman Brothers’ Theatre

Nell’articolo precedente avevamo promesso spettacoli dall’alto contenuto comico e visivo, e questi ultimi due appena descritti sono certamente tra i migliori – per genere – visti durante questa estate di festival. Un segnale importante, dunque, lanciato da Castel dei Mondi che – si spera – possa ricominciare da qui il proprio percorso di rinascita.

Ascolto consigliato

Festival Castel dei Mondi, Andria – 5 e 7 settembre 2017

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