Foto di scena. ©Christophe Raynaud de Lage

Per un teatro della meraviglia

Dark Circus, o il "disastro" incantevole di Stereoptik

«Siete venuti in tanti, ne uscirete affranti!»

Ma che succede: un circo che inneggia alla tristezza? Proprio il circo, che invece ha il compito di portare la felicità tra le persone? Quello capace di attuare una “sospensione dell’incredulità” da tutte le fragilità umane, nel suo anelito a sfidare le leggi della natura? Ebbene sì. Ma forse sotto la sua apparente vitalità il circo conserva sempre una vena un po’ malinconica, perché porta l’uomo ad avere nostalgia di una perfezione che mai ha avuto e mai potrà avere. E se è vero che Stereoptik, compagnia francese ospite a Romaeuropa con il suo Dark Circus, si concentra proprio sul lato più crepuscolare del circo, dietro il bianco e il nero della sua ricerca estetica si cela in realtà più ironia di quanto sembri in apparenza.

Foto di scena. ©Christophe Raynaud de Lage

Nessuna tecnologia sofisticata, nessun effetto spettacolare. Quello che c’è sul palco della Pelanda è ciò che si vede: sulla sinistra Jean-Baptiste Maillet a comporre live la musica che accompagnerà i numeri del dark circus, sulla destra Romain Bermond con l’occorrente per plasmare la materia in sostituzione alla presenza viva dell’attore, ovvero sabbia, inchiostro, pupazzetti di carta, un foglio bianco e una piccola telecamera per proiettare le immagini sullo schermo. Così, ecco che attraverso la giustapposizione di video animati, disegno dal vivo e giochi di luci e ombre, i due artisti visuali svelano in diretta l’incanto e l’artificio che dietro di esso si nasconde mentre i paesaggi fiabeschi prendono vita come dal nulla, trasformandosi sempre diversi davanti agli occhi meravigliati.

Foto di scena. ©Christophe Raynaud de Lage

Qualcosa però sembra sempre andare storto al dark circus: la trapezista cade dal trapezio, il domatore di leoni viene mangiato vivo, l’uomo cannone è scaraventato sulla luna (con un omaggio a Georges Méliès), il domatore di cavalli perde il cavallo, che scappa libero nella natura. Insomma, è il contrappasso tragi-comico per avere osato sfidare i propri limiti umani: tutto è un disastro, una goffa caduta, un fallimento continuo, come a ricordarci che l’arte – e quindi la vita – è qualcosa di fragile, pronta ad essere spazzata via da un momento all’altro ma proprio per questo anche più preziosa e da custodire con cura, proprio come fa quella mano pronta a salvare il cavallino dall’orlo del precipizio.

E infine, grazie al naso rosso di un clown, il circo di Stereoptik dal bianco e nero si trasformerà in un’esplosione di colori sgargianti, lasciando fuori il pallore quotidiano dei severi palazzoni grigi che lo circondano. È un mondo in cui trova casa la stravaganza dell’arte, la serietà del gioco, nonché la dimensione fallimentare e congenitamente imbranata dell’essere umano: lo sforzo di superare sé stesso che, seppur destinato al disastro, conserva sempre un’ironica e insieme malinconica speranza di riprovarci ancora. Un mondo incantato creato a partire da pochi espedienti tradizionali che, compenetrati con maestria nellaloro artigianale essenzialità, suscitano la meraviglia dello sguardo; difficile da trovare in una società sempre alla ricerca spasmodica del nuovo, dell’effetto speciale senza consistenza, della virtualità delle emozioni.

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