whiplash J.K. Simmons miles teller

Whiplash – Damien Chazelle

Riuscite a immaginare il terribile sergente Hartman come docente di adolescenti allievi musicisti, “addestrati” al solfeggio con ferrea disciplina, e a “dominare” il proprio strumento come fa un marine col suo fucile? Il regista e musicista – non a caso – americano Damien Chazelle ha abilmente tradotto tutto ciò in Whiplash, film in concorso, sezione Festa mobile, al Torino Film Festival.

Sì, le citazioni si riferiscono proprio al film kubrickiano, tanto che potremmo definire questa pellicola il “Full Metal Jacket del Jazz”. Infatti, quello che scorre nei nostri occhi e dentro le nostre orecchie è un concentrato ansiogeno di immagini – montate ad alta velocità –, musica, parole (o meglio insulti e umiliazioni), dialoghi, orchestrati da un’energica regia – tra i quali un memorabile “duello” di sguardi e note seguito con panoramiche a schiaffo – che cela astutamente sotto di essi importanti dilemmi morali, amalgamati perfettamente in una sceneggiatura efficace, attenta a mantenere sempre il giusto equilibrio tra comico e drammatico.

J.K. Simmons whiplash

Il severissimo istruttore in questione, alla guida del più importante Conservatorio Jazz di Manhattan, è Terence Fletcher – pugno duro, t-shirt scura, attillata quanto basta per esaltare i bicipiti –, ovvero corpo, voce e mimica di J.K. Simmons, la cui interpretazione trasmette il carattere di un glaciale impositore e spietato calcolatore, evitando però di banalizzarlo in mero “cattivo” della storia. Tra gli sfruttati e stressati studenti da lui diretti – è presente anche l’equivalente “Palla di Lardo”, che piagnucola abbracciato al suo trombone –, c’è il giovane Andrew Neyman (Miles Teller) che, sebbene ricalchi le orme dell’eroe incosciente, prima oppresso e poi, con tanta fatica, finalmente realizzato, non rischia mai di ridursi a semplice talento incompreso che subisce e accetta attacchi e minacce (compresi lanci di sedie, grancasse e piatti). Egli, infatti, spoglia poco per volta il proprio animo combattuto tra ambizione e cinismo (tanto da rinunciare a relazioni e vita sociale), determinazione e rimorso, trasformandosi in una vera e propria “macchina da guerra” disposto a sputare sangue – letteralmente – e a rimetterci dita e vita pur di diventare il più veloce batterista, il migliore.

Chazelle costruisce un turbinoso botta e risposta fatto di provocazioni e repliche, affronti e rilanci, che trascina l’iniziale sfida verbale, fisica, e artistica dei protagonisti in un vero e proprio scontro personale (e generazionale). Perché lo scopo è raggiungere il proprio obiettivo, sempre. Ma – ecco il profondo quesito morale e umano del film – a quale prezzo? Quando deve cessare il sacrificio? E quanto è sottile il limite che separa la giusta competizione da una logorante lotta di principio che ci rende cieche e rabbiose vittime dell’orgoglio?

Grazie


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