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Antebellum

Antebellum smaschera l’illusione di una possibile integrazione sociale, scavando nella storia americana e costringendo passato e presente a guardarsi in faccia.

Antebellum comincia con un piano-sequenza che catapulta indietro nel tempo, all’epoca della Guerra Civile americana: da un’elegante residenza padronale (siamo negli stati del sud) si arriva fino alla piantagione, dove alcuni schiavi raccolgono il cotone. Tra i prigionieri afroamericani costretti a subire ogni tipo di violenza e umiliazione c’è anche Eden (Janelle Monáe), donna combattiva che pianifica di fuggire da quel luogo di orrori. Forse si tratta di un incubo, dev’essere così, infatti una mattina si sveglia e non è più Eden nel 1800, ma Veronica Henley negli anni 2000, una scrittrice impegnata a sostenere i diritti degli afroamericani. Antebellum, diretto da Gerard Bush e Christopher Renz (distribuito su Prime Video), segue le orme di film come Get Out e Us di Jordan Peele – comunemente definiti “horror politici” (ma un horror degno di tale nome non è sempre, per sua natura, politico?) – e si impegna a denunciare il razzismo ancora tristemente radicato negli Stati Uniti. L’ispirazione ai due lavori di Peele è evidente e l’intento rimane quello di smentire l’illusoria integrazione sociale dei nostri giorni, mostrando che dietro maschere di perbenismo si cela un animo violento e razzista.

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I registi Bush e Renz guardano anche ai ribaltamenti spiazzanti di Night M. Shyamalan, che con i suoi colpi di scena è capace di sviare e sorprendere. Anche Antebellum disorienta, confonde le dimensioni di sogno (anzi, incubo) e realtà, ma soprattutto scombina i piani temporali accostando uno accanto all’altro presente e passato, obbligati a guardarsi in faccia. Con uno spaesamento temporale, il film fa i conti con un trauma mai risolto, quello dello schiavismo che macchia la storia americana. Come afferma Susan Sontag nel suo Davanti al dolore degli altri «molti popoli perseguitati vogliono oggi un museo della memoria», facendo poi notare come negli Stati Uniti non esista un museo della storia della schiavitù. Forse perché – dice la Sontag – «attivare o creare questa memoria è considerato, a quanto pare, troppo pericoloso per la stabilità sociale» e «sarebbe come riconoscere che il male era qui».

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Bush e Renz tornano indietro a un momento traumatico, a una pagina dolorosa ma ancora attuale della storia e cultura americana. Attraverso l’ipotesi di una situazione portata all’estremo (sospesa nel tempo come The Village, brutale come Westworld, vera come 12 anni schiavo) e di uno scenario oggi eccessivo ma un tempo reale, Antebellum esplicita alla lettera la frase di William Faulkner che si legge in apertura di film: «il passato non muore mai. Non è nemmeno passato».

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