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Verónica

Su Netflix il nuovo film di Paco Plaza, un horror che getta luce sulle ombre reali e demoniache dell’adolescenza

Davanti a un’enorme piattaforma di contenuti audiovisivi spesso ci si sente spaesati. Netflix, come altri servizi di streaming, è una sorta di biblioteca a scaffale aperto, un luogo virtuale in cui si si può perdere facilmente. Esistono però delle bussole per orientarsi, da una parte gli algoritmi che calcolano la compatibilità di film e serie tv per ogni utente, dall’altra, a voler essere più romantici, un po’ di serendipità. E a volte, quasi per caso, ci si imbatte in prodotti degni di nota che se ne stavano nascosti nel fitto intrico della rete. Uno di questi è Verónica (2017), un horror spagnolo diretto da Paco Plaza, famoso per la serie [Rec] iniziata nel 2007 e con tre sequel. Dallo stile found footage Paco Plaza torna a una narrazione più tradizionale che si sviluppa attorno a un evento realmente accaduto. Partendo dal rapporto della polizia riguardo a un caso di morte misteriosa legata a fenomeni paranormali, il regista spagnolo racconta un’interessante storia di possessione.

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Il film, ambientato a Madrid nel 1991, ha una struttura circolare che immerge subito lo spettatore in medias res nel momento di massima tensione. Dopo un coinvolgente inizio, un flashback riporta a qualche giorno prima per raccontare la storia della protagonista. Verónica (Sandra Escacena) è una quindicenne che deve affrontare una difficile situazione famigliare: il padre è morto, mentre la madre è sempre assente per lavoro, così è lei che deve badare alle sorelle e fratellino più piccoli. Un giorno, durante un’eclissi solare, Verónica, insieme ad altre due amiche, gioca con la tavoletta ouija sperando di contattare il defunto padre. Ma qualcosa va storto e da quel momento la ragazza viene perseguitata da una presenza demoniaca.

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Quello che colpisce di Verónica non è tanto il tema della possessione, ma ciò che si nasconde dietro. Paco Plaza utilizza pochi elementi di terrore ma efficaci per raccontare non solo un fatto basato su una storia vera, ma soprattutto le ombre reali e palpabili dell’adolescenza. Infatti, dietro alle allucinazioni e le presenze che tormentano la protagonista, c’è una riflessione su quella fase di passaggio tormentata che è la soglia tra l’infanzia e l’età adulta. Verónica è abbandonata a se stessa e si trova a dover crescere più in fretta del previsto perché né la madre né le amiche riescono a riempire la solitudine oscura che prova. Il demone che la tormenta nasce proprio dal suo bisogno di affetto: attraverso il gioco macabro della tavoletta ouija, la protagonista lancia il suo grido disperato di aiuto. Con questo gesto che supera i confini della morte, Verónica però si macchia di ubris e viene punita per aver osato tanto.

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Verónica può essere avvicinato ad altri horror spagnoli e latinoamericani degli ultimi anni come The Others (2001), Darkness (2002), Frágiles (2005), El orfanato (2007) , Mama (2013). Questi film potrebbero appartenere a un’ideale poetica orrorifica, il “gotico mediterraneo”, in cui l’atmosfera, data dalla frequenza di scene girate in interni soffocanti, è sempre claustrofobica mentre gli ambienti prendono forma grazia a una fotografia viva e materiale, fatta di chiaroscuri e tagli di luce che creano giochi di ombre. Attraverso il soprannaturale, Paco Plaza parla di adolescenza e di responsabilità e lo fa in modo semplice e diretto, con pochi ma buoni espedienti del genere, puntando tutto sull’approfondimento psicologico della protagonista. All’interno del vastissimo catalogo Netflix, vale proprio la pena di recuperare Verónica.

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