Rocco e isuoi fratelli visconti alain delon

Rocco e i suoi fratelli – Luchino Visconti

Smisurato, contraddittorio, complesso. Come la personalità del suo autore, una delle figure più imponenti nella storia del cinema italiano. Sono molteplici le influenze e le suggestioni che nel 1960 convinsero Luchino Visconti che quella “storia di cinque fratelli, cinque come le dita di una mano,” potesse diventare il suo prossimo film.

Innanzitutto la fondamentale esperienza siciliana con l'adattamento per il grande schermo di Giovanni Verga in La terra trema (1948). L'eco di un sud ferito, che azzarda il tentativo di un riscatto impossibile, si avverte nell'emigrazione al nord della famiglia Parondi, come era lucidamente raccontato in quella verghiana dei Velastro. Poi senza dubbio l'amato Thomas Mann del Giuseppe e i suoi fratelli e il Dostoevskij de L'idiota, con le sue radicali riflessioni su colpa, rimorso e condanna. Nel nome scelto per il protagonista, già significativamente introdotto dal titolo del film, c'è poi un rimando più sottile, ma altrettanto importante, a un altro riferimento culturale: Rocco Scotellaro, esempio di un meridionalismo indomito e pervicace, consapevole della sua identità ma proteso verso un ideale di progresso.

E ancora: le radici letterarie del grande romanzo popolare, la lirica (il montaggio alternato nella scena dell’idroscalo e il finale della Carmen di Bizet), la tragedia greca (il volto arcaico e dolente della madre Katina Paxinou), Pratolini e i racconti del Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori. Una congerie stratiforme e apparentemente disomogenea di influssi avrebbe contribuito così ad imbastire la tessitura di un film unico, all'epoca in grado di spiazzare pubblico e critica. E ancora oggi capace di travolgere con il suo afflato emotivo e di stupire per la sua eleganza formale. Ormai lontano dai rigori espressivi del neorealismo ma non ancora imbevuto di decadentismo come le opere successive, Rocco si delineò come film cerniera nella carriera del regista milanese. E fu nell'intensità espressiva del melodramma che Visconti rinvenne la sintesi, imperfetta quindi ancora più affascinante, di tutti questi elementi. La vicenda di Rocco non è che quella di uno dei tanti “vinti” viscontiani, indissolubilmente legati a un destino di scacco esistenziale che li spinge ad immolarsi in nome dell’amore totale.

A distanza di oltre mezzo secolo dalla sua realizzazione, Rocco e i suoi fratelli (1960) torna nelle sale italiane in una versione restaurata a cura del laboratorio “L'immagine ritrovata” della Cineteca di Bologna. Enorme il lavoro svolto sulla ormai deteriorata pellicola originale: con la supervisione del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno si è riusciti a riportare a nuovo splendore il magnifico bianco e nero del film, riversato nell'altissima definizione del digitale 4K.

Estremamente curato anche l'approccio filologico all'integrità dell'opera, come nella tradizione del laboratorio di restauro bolognese: sono stati infatti reintegrati alcuni fotogrammi, all'epoca rimossi su richiesta dell’ufficio censura, nelle scene dello stupro e della uccisione di Nadia. Mancante invece, perché mai realizzata, quella sequenza iniziale che Visconti avrebbe voluto girare in Lucania, tra Matera e Pisticci, con il funerale del padre. E che portò il regista milanese, prima di Pasolini, a scoprire la bellezza arcaica di quella terra “senza peccato e senza redenzione”, lungo la rotta del viaggio che Carlo Levi aveva compiuto pochi anni prima.

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