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Ritratto della giovane in fiamme

Céline Sciamma scrive e dirige una storia d’amore impossibile e struggente, quella della pittrice Marianne e della giovane in fiamme Héloise.

Hélène Delmaire è una giovane pittrice francese che ha collaborato con la regista Céline Sciamma dipingendo le tavole presenti nel suo ultimo lungometraggio, film ambientato alla fine del Settecento e in cui la pittura diventa veicolo di un amore impossibile. Molti dei quadri di Delmaire ritraggono donne con il volto nascosto, coperto, gli occhi rivolti altrove, verso un mondo interiore o una dimensione altra. Visi impenetrabili, come quello di Héloise (Adèle Haenel) all’inizio di Portrait de la jeune fille en feu, che ritarda il suo manifestarsi e suscita un’attesa colma di curiosità nella pittrice Marianne (Noémie Merlant), chiamata a realizzare un ritratto della giovane per il suo imminente matrimonio combinato.

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Se la prima parte del film è giocata sul nascondimento, da quando Héloise finalmente si mostra in tutta la sua struggente bellezza diventa oggetto dello sguardo attento di Marianne: dai primissimi piani alla figura intera, il volto e i frammenti del suo corpo occupano la scena, la giovane in fiamme viene osservata costantemente e, a poco a poco, desiderata. Ma lo sguardo non procede in direzione univoca e la pittrice che osserva viene a sua volta guardata, desiderata, amata. E l’amore tra Héloise e Marianne, travolgente ma celato dietro un manto di segretezza, si svela una pennellata alla volta, seguendo il tempo della pittura: il ritratto prende vita attraverso la stratificazione di un colore sull’altro e i dettagli rubati del viso di Héloise. Marianne vorrebbe che il quadro non fosse mai finito, perché terminarlo significa spezzare l’incanto, scontrarsi con la realtà crudele che ingabbia lei ed Héloise dentro schemi prestabiliti, percorsi già tracciati senza possibilità di seguire nessuna altra strada; l’unico sentiero percorribile prevede un amore tenuto nascosto, vissuto con passione per poco tempo e poi affidato al ricordo. E forse il ricordo è più dolce della vita, forse per questo motivo Orfeo si volta a guardare Euridice, per continuare ad amarla così, immobile e perfetta. 

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Nascondimento, vicinanza, distanza: Céline Sciamma sviluppa il suo film per gradi, attraverso uno sguardo che prima desidera perché non vede, poi osserva da vicino e infine è costretto a tenersi lontano, come nel bellissimo, travolgente, straziante finale, uno dei pochi momenti corredati dal commento musicale. E la musica, in modo simile alla pittura, si fa espressione di una passione custodita soltanto nel proprio mondo interiore, un segnale per riconoscersi (come la p. 28) e amarsi in segreto. Guardare da vicino e poi da lontano: come il dipinto che porta il nome del film, in cui Marianne dipinge Héloise en feu, figura enigmatica e irraggiungibile, con il viso rivolto verso il mare in tempesta.

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La storia d’amore scritta (migliore sceneggiatura a Cannes) e diretta e da Céline Sciamma si consuma e brucia rapidamente in un ambiente chiuso, un’isola separata dal resto del mondo, fatta di spiagge e scogliere meravigliosamente fotografate dalla cinematographer Claire Mathon. Solo in quel luogo Marianne ed Héloise possono stare insieme, fermarsi in riva al mare attorno a un falò e fare parte della piccola comunità di donne che cantano circondando il fuoco e che, come in una sorta di sabba, si sentono finalmente libere.

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