Paris Is Us
Una versione psichedelica di Tree of life o Song to Song, che trasmette allo spettatore una sensazione di disorientamento a tratti disturbante, mentre fuori imperversa la rivoluzione.
Paris est à nous rappresenta l’esordio alla regia di Elisabeth Vogler, realizzato in parte grazie a una campagna di crowdfunding e sbarcato su Netflix il 22 febbraio 2019. Tutto ha inizio con l’incontro tra Anna (Noémie Schmidt) e Greg (Grégoire Isvarine) ad una festa parigina in cui luci rosse e musica a tutto volume li avvolgono fino al momento del primo bacio. Il loro amore nasce così, mentre lui le sfiora i capelli e lei gli racconta la propria infanzia, quando pensava che le persone stessero lì per lei e immaginava che, qualora avesse chiuso gli occhi, sarebbero sparite, come per magia. Anna vive sospesa tra ricordi e immaginazione. Quando scopre che l’aereo che avrebbe dovuto prendere diretto a Barcellona precipita senza lasciare superstiti, viene risucchiata in un vortice di paranoie e angosce e si lascia andare a una serie di riflessioni sulla vita e sul rapporto tra realtà e finzione. “Hai mai pensato che Parigi, le nostre vite o persino l’intero universo potrebbero essere un enorme videogioco?” chiede Anna a Greg.
Il film ha ben poco di narrativo e molto di onirico e la sua potenza visiva e sonora colpisce fin dai primi minuti. Sembra di essere di fronte alla versione psichedelica di Tree of life o Song to Song. Ma si fatica a scovare qualcosa di significativo oltre l’impatto iniziale di questo flusso di coscienza a ritmo di musica tecno. Il titolo originale Paris est à nous – che diventa, nella versione internazionale, Paris Is Us – richiama alla mente il film francese Parigi ci appartiene di Jacques Rivette, la cui giovane protagonista si chiama Anne, proprio come la ragazza al centro del film targato Netflix. Stando invece al più recente cinema d’oltralpe, verrà spontaneo pensare anche alla celebre scena de L’odio in cui viene mostrata la scritta del cartellone pubblicitario che recita “Le monde est à nous”.
Il lavoro di Elisabeth Vogler quindi sembra assumere, fin dal titolo, un’accezione politica: Parigi è nostra, ci appartiene, riempiamo le piazze e scendiamo in strada a lottare per essa. Ma queste intenzioni di costruire un film denso di messaggi politici, che racconti la crisi di una generazione che si barcamena nel caos tentando di raggiungere la stabilità dell’età adulta, si perdono letteralmente per strada. La regista segue i suoi protagonisti mentre camminano, parlano, si baciano lungo le strade di Parigi, la macchina da presa li inquadra in maniera spesso sfuggente e sfuocata, poi indugia sui corpi e i volti dei due giovani, mentre intorno a loro sembra imperversare la rivoluzione. Vediamo manifestanti parlare al megafono davanti a piazze gremite, cartelli con la scritta “Je Suis Charlie”, schiere di poliziotti avanzare in tenuta antisommossa, eppure il mondo reale circonda Anna e Greg, ma non li tocca, non li sfiora, rappresenta un mero sfondo per il loro girare a vuoto. Le voci, le grida, i rumori della città sono una sorta di sottofondo che disturba, se non addirittura altera, i pensieri e le emozioni di Anna.
Paris est à nous è quasi interamente girato in esterno, ma è su Anna che si concentra, come se la regista volesse trasferire sul volto della ragazza tutto il peso dell’inquietudine e delle agitazioni che attraversano la città. Il film però manca di una scrittura solida a sorreggerlo, così procede in maniera confusa e trasmette allo spettatore una sensazione di disorientamento a tratti disturbante.