Jake Davis, premio Pulitzer e romanziere rimasto vedovo, lotta contro un serio disturbo mentale mentre cerca di crescere, nel miglior modo possibile, la figlioletta Katie di 5 anni nella Pittsburgh degli anni Ottanta. 25 anni dopo Katie è una splendida ragazza che vive a Manhattan, da anni lontana dal padre, che combatte ancora i demoni della sua infanzia tormentata insieme all'incapacità di abbandonarsi a una storia d’amore.
Dopo La Ricerca della Felicità e Sette anime, Gabriele Muccino torna con il suo nuovo film americano a trattare tematiche emotive molto delicate che vedono questa volta protagonisti un padre e una figlia che non riescono a vivere appieno il loro amore. La storia messa in scena è lineare, nonostante la trama si svolga su due piani paralleli ma lontani nel tempo. Sebbene questo tipo di gestione temporale potrebbe lasciar supporre un nuovo corso nello stile di regia, Muccino si lascia nuovamente sedurre dalla retorica dei sentimenti senza allontanarsi dall'applicazione dei canoni produttivi di un certo cinema mainstream. Il film appare da subito troppo legato ai canoni e ai cliché del didascalismo emotivo, ancorato ad un patetismo logorroico che parla spesso un soap-operese dedicato a chi sembra non capire, rallentando continuamente e dimostrandosi troppo ancorato all'interno di uno stile molto più interessato al raccontare le emozioni piuttosto che al farle provare.
Ma nonostante tutti questi limiti, il regista italiano conferma la sua abilità nel saper ben confezionare opere di genere dedicate al grande pubblico. E lo fa sia declinando di film in film le varie sfaccettature della retorica sui rapporti tra personaggi in difficoltà esistenziale di ogni genere, sia traducendo con raffinatezza la pulizia della narrazione, passando per l’accurata gestione di attori del calibro di Russell Crowe, Amanda Seyfried, Aaron Paul e Jane Fonda, oltre alle giovanissime e talentuosissime Kylie Rogers (attrice undicenne qui al suo 13esimo film) e Quvenzhané Wallis (già Margaret Northup in 12 anni schiavo di Steve McQueen).
Anche se quindi i suoi film appaiono spesso ridondanti e melanconici a Muccino va dato merito di essere un autore abile, coerente con il proprio stile, e di conseguenza molto consapevole del fastidio che una certa critica italiana cinematografica (e di conseguenza un certo pubblico) prova nei suoi confronti. E questa consapevolezza si osserva e si tocca con mano, fino al punto che è l'autore stesso ad attaccare i suoi detrattori e quanti vorrebbero vedere nei suoi film un guizzo di innovazione, quando in una scena del film fa dire a un Jake/Russel Crowe all'apice dell'esaurimento nervoso provocato dal’l’insuccesso artistico del protagonista, frasi come “Me ne frego delle recensioni” e “Non so perché Dio abbia creato gli scarafaggi e i critici”.
Insomma, in sostanza Padri e figlie è un bel film. Ridondante, prevedibile, esagerato col voler commuovere a tutti costi, ma un bel film; e questa caratteristica sebbene non indice di qualità, è ciò che in ultima analisi dovrebbe contare davvero.