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La vita va avanti – Vito Ferro

Il suolo arido a mò di letto, le lapidi come confine invalicabile, il cigolio di un cancello che diventa speranza di libertà, la voglia di urlare, un grido strozzato in gola, angoscia e dolore: Armando è morto, ma non lo sa ancora, e il trauma dell’inconsapevole passaggio tra la vita e la morte diventa il fil rouge di La vita va avanti, titolo (quasi) ironico del romanzo del torinese Vito Ferro, che di ironico, in realtà, non ha proprio nulla.

Vito Ferro

L’inquietudine è la cifra stilistica dell’opera, sia a livello narrativo, dove la trama si dipana con frequenti e profonde parentesi di introspezione psicologica, sia a livello lessicale, dovuto essenzialmente alla predilezione dell’ipotassi e dei periodi lunghi e articolati, e all’utilizzo personalissimo della punteggiatura, spesso assente, con un risultato talvolta lento ma convincente.

La vita va avanti propone al lettore una delle dicotomie predilette dalla letteratura fin dalla notte dei tempi, quella vita – morte, immortalata in un fermo immagine al confine tra le due, in un equilibrio assolutamente precario.

La morte, per Ferro, non è quella seducente del D’Annunzio, né l’ironica e scioperata mietitrice di Saramago, la morte è quella che spezza i legami, relega le anime insoddisfatte e incomplete in una sorta di limbo dantesco, in una dimensione caratterizzata dai confini di un cimitero di città, grigio, freddo, a tratti trascurato, una cornice che diventa protagonista assumendo, talvolta, connotazioni gotiche alla Lovecraft.

Rimandi ed echi letterari per una vicenda difficile da narrare, una storia che parte in sordina per arrivare ad un notevole coup de théâtre finale in grado di sciogliere il nodo narrativo che perdura per l’intera durata del romanzo.

“Che cosa stanno dicendo le poche vedove chine sulle tombe dei mariti? I fiori sono macchie tremule in tutto quel marmo. Le ore non hanno più la stessa durata. Non restano che le parole. Prima che anche quelle secchino e diventino tombe, questione di morti.”

Non si parla volentieri della morte; Ferro ci costringe a farlo, e ce la presenta corredata da una vena poetica affascinante, suggestiva.
Il lettore si trova a fare i conti con una presa di coscienza forte, con un romanzo originale, con una ghost story sui generis, contemporanea e universale, che riflette sulle verità più profonde: la vita, l’amore, la memoria, la speranza, il dolore, il perdono, l’assoluzione.

Grazie


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