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Euforia

Un film intimo che si avvale di eccellenti interpreti che reggono con spalle larghe ed esperienza tutto l’arco della storia.

L’euforia porta un individuo ad uno stato di leggerezza che lo distacca spensieratamente dalle situazioni reali della vita. Euforia (2018), di Valeria Golino, rappresenta quella sorte di apnea momentanea, dove l’accadimento di un fatto reale, quanto spiacevole, viene vissuto in modo distaccato, in modo non congruo. Questa leggerezza non è però sintomo di un errato peso dato alle cose, ma da una diversa interpretazione di come quella situazione debba essere vissuta. Un’incongruenza nel trattare un tema che nasce da una bugia, a fin di bene, di chi non dovrebbe prendersi tanta responsabilità e darla al diretto interessato, che di responsabilità non ha mai voluto saperne.

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Matteo (Riccardo Scamarcio) è il fratello minore di Ettore (Valerio Mastandrea). Questi sono agli opposti. Nel primo caso, abbiamo Matteo, imprenditore di successo della capitale, un sole, tutto deve orbitare attorno a lui, tutto deve crescere e prosperare con un suo raggio. Nel secondo caso, Ettore, professore che ha scelto la tranquillità della provincia, la luna, è di personalità schiva che lascia vivere perché vuole che lo si lasci vivere in pace. Il tema principale di questo secondo film della Golino è il rapporto tra queste due persone, che si vogliono un bene fraterno, ma che non hanno molto a che fare l’uno con l’altro se non perché condividono la stessa madre. I due finiranno a vivere sotto lo stesso tetto dopo la scoperta di un male incurabile diagnosticato ad Ettore. L’uomo tuttavia rimasto all’oscuro si farà ospitare da Matteo, il quale, a conoscenza dei fatti, cercherà con tutti i suoi mezzi di rendere il periodo di accertamenti clinici del fratello il più sereno (euforico) possibile.

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Una bugia a fin di bene, una responsabilità presa senza fare i conti con l’oste. Valeria Golino, nel suo secondo lungometraggio, ci mostra un amore fraterno. L’affrontare la malattia fisica (anche se inconsapevole) di uno e la malattia della mente dell’altro. Un bel duetto, Mastandrea – Scamarcio, che mette insieme due grandi attori che anche senza battute, solo fisicamente o solo con gli sguardi, riescono a mettere in scena il detto e il non detto, che con le premesse di questa trama rappresenta il punto centrale di tutta la vicenda. Un film molto intimo, senza sbavature registiche e un grande applauso agli interpreti, che reggono con spalle larghe ed esperienza, tutto l’arco della storia. Un film toccante ma privo di smielature drammatiche che però al suo termine richiede quei cinque minuti di raccoglimento come se si dovesse elaborare un lutto. Un lutto metaforico e personale, sia inteso, dato che per quanto riguarda Valeria Golino e il suo film, si può solo parlare di una bella rinascita. Una regia firmata al femminile e due opere su due già presentate nella sezione Un certain regard al festival di Cannes.

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