class enemy

Class Enemy – Rok Biček

Il rapporto fra studenti e professori può essere così drasticamente delicato e complesso da lasciare pesanti scie non facili da gestire. E ci sono casi in cui tale relazione, tanto incerta quanto tenace nel generare tensione, raggiunge livelli spiacevolmente inaspettati ed estremi ma, alla fine, persino catartici nonostante tutto.

Zupan è un severo insegnante di tedesco di mezza età che arriva in un liceo sloveno come supplente in una classe dove, nel complesso, l’indisciplina, fatta di mancanza di voglia di studiare, di insolenza e di immaturità, la fa da padrona. Anche l’alunno più bravo del primo banco si rivela tristemente incapace di volgere lo sguardo oltre il suo accanito desiderio di ottenere il massimo dei voti, e di andare al di là del semplice studio dei concetti racchiusi nei libri di testo. Due opposti – la forte rigidezza del professore da una parte “contro” l’indocilità diffusa degli studenti dall’altra – si scontrano nello spazio asfittico della scuola e, soprattutto, dell’aula. Una classe che, scena dopo scena, si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia, fisico e mentale. Una lotta che si scatena, in particolare, quando il docente viene (ingiustamente) accusato dagli studenti di aver spinto al suicidio Sabina, studentessa estremamente appartata e talentuosa pianista, per averla rimproverata in maniera umiliante in seguito a degli scarsi risultati in tedesco.

Il maggiore merito Class Enemy, opera prima del giovane sloveno Biček, forse, risiede nella costruzione del personaggio, nella psicologia del professore. Il suo è infatti un carattere che va analizzato e scavato “dietro le quinte” per poterlo cogliere nella sua autenticità. L’uomo, al di là della sua severità puntigliosa e respingente, mostra una sensibilità sottile, sicuramente non comune fra le mura di quel liceo. È vero, certo, che la sua critica a Sabina per i suoi bassi risultati in tedesco è forse eccessiva, ma va notato come, al contempo, in realtà, egli si interessi sinceramente al suo talento di pianista. Le sue lezioni, inoltre, pur essendo “tutte di un pezzo”, risultano piuttosto sui generis. Il professor Zupan affronta in maniera originale Thomas Mann, riuscendo anche a collegare alcuni topoi e ossessioni dello scrittore con la tragedia del suicidio della studentessa. Ed è sempre lui che, senza tanti fronzoli, cerca di aprire un dialogo con gli studenti per parlare dell’inaspettato gesto della ragazza.

Ma nessuna reazione positiva giunge da parte dei ragazzi, i quali, seppur certamente toccati e confusi dalla morte della loro compagna, sono così immaturi – o, anche, così frustrati – da voler affibbiare con facilità al professore l’epiteto di nazista. Troppo svogliati per studiare, figuriamoci per accogliere con curiosità ed elasticità mentale le sue riflessioni (in tedesco) sulla letteratura e l’esistenza. Alla fine, difatti, è la figura del professore, che sembra così chiusa e ostile, a essere l’unica a distinguersi in maniera lodevole. Da questo punto di vista, il regista è abile nel descrivere impietosamente buona parte del microcosmo scolastico di studenti e docenti, fra strisciante razzismo, omofobia e sgradevolezze varie.

Non dotato di un’impronta registica particolarmente personale, Class Enemy sa comunque fare uso dell’innata ambiguità dell’inquadratura. Lo spettatore, ad esempio, si domanderà di sicuro che cosa sta realmente accadendo – o che cosa potrebbe accadere – dietro la porta di quella piccola aula mentre il professore ascolta Sabina intenta a suonare Mozart. Rok Biček gira dunque un’opera prima indubbiamente interessante, capace di colpire in maniera diretta e schietta, il primo tassello di una filmografia che, col tempo, potrebbe diventare davvero notevole e rilevante.

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