xavier legrand leone argento venezia 74

Perché la Francia sbanca il palmarés veneziano?

La Francia ci insegna che le politiche cinematografiche possono innescare un circolo virtuoso su tutta la filiera

Tra i premi assegnati dalla giuria della 74esima Mostra del Cinema di Venezia, uno dei più inaspettati è stato il Leone d’argento per la Miglior regia consegnato a Xavier Legrand, già vincitore, soltanto una ventina di minuti prima nel corso della serata, del cosiddetto “Leone del futuro”, ovvero il Premio Luigi de Laurentiis per la Migliore opera prima. Legrand era incredulo ed emozionato, ma non meno di chi stava seguendo la cerimonia in diretta: capita abbastanza di rado, a Venezia, che un film o un artista vincano più di un riconoscimento, perché spesso le giurie veneziane tendono a ragionare per sineddoche con lo scopo di non lasciare a bocca asciutta nessuno dei film meritevoli. Ricordiamo tutti, ad esempio, la Coppa Volpi vinta lo scorso anno da Emma Stone per La La Land (film che si basa su un’idea registica fortissima, più che sull’attrice protagonista), mentre Jackie, che si regge interamente sull’interpretazione di Natalie Portman, vinse il premio per la miglior sceneggiatura. Nel caso di Jusqu’à la garde, invece, la giuria presieduta da Annette Bening non ha avuto dubbi: Xavier Legrand andava premiato a tutti i costi come miglior regista, poco importa che si trattasse di un esordiente circondato da maestri del cinema. Una scelta che reca con sé una certa idea di progressismo, all’interno di un’edizione della Mostra del Cinema che è stata definita da molti la migliore dell’era Barbera.

Questo Leone d’argento e gli altri premi assegnati ci parlano però anche di qualcos’altro, ovvero dello stato di salute della cinematografia francese. Sia chiaro: non è facendo la somma delle statuette vinte che si può decretare la potenza cinematografica di una nazione, ma certo è che, un po’ come succede alle Olimpiadi, un evento internazionale del calibro della Mostra del Cinema ha anche l’obiettivo di presentare al resto del mondo il meglio che ogni Nazione sa fare in quel momento. E nel caso della Francia esiste sempre una certa correlazione tra film in gara e film premiati, correlazione che non può passare inosservata.

Jusqu’à la garde, Xavier Legrand, 2017

Jusqu’à la garde, Xavier Legrand, 2017

Su ventuno film in concorso quest’anno, sono otto quelli ad essere stati prodotti o coprodotti da società francesi; e di questi otto film, sono quattro ad aver vinto dei premi: oltre a Jusqu’à la garde, anche Foxtrot (Gran premio della giuria, una coproduzione tra Israele, Germania e Francia); L’insulte (Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile, una coproduzione franco-libanese) e Hannah (Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, coprodotto da Italia, Francia e Belgio). La media di un film premiato ogni due in concorso resta per la Francia la stessa dell’anno scorso, anche se nel 2016 le società francesi parteciparono con sei film, vincendo tre premi. Giusto per intenderci: una media ben più alta della nazione con più film in gara, ovvero gli USA, che a fronte di otto film presentati hanno vinto due premi (il Leone d’oro e il Premio per la miglior sceneggiatura). Nel caso della Francia, il fatto che si tratti non solo di film interamente francesi, ma anche di opere coprodotte con altri Paesi è indice di una certa attenzione dedicata, oltre al cinema di qualità nazionale, anche a tutto ciò che viene da fuori. Il messaggio che passa, in questo caso, è semplice e fortissimo: se vuoi fare un film di qualità, la Francia è dalla tua parte.

charlotte rampling coppa volpi

Il palmarès, però, non è che la punta dell’iceberg di una nazione che continua ad essere cinematograficamente potente, come emerge dagli ultimi dati del rapporto UNIC sul cinema europeo (leggibile qui). La Francia è al primo posto in Europa per numero di spettatori nelle sale e quindi per numero di biglietti venduti (più di 200 milioni all’anno, contro i 100 milioni che si vendono in Italia), e al secondo posto (al primo c’è l’Irlanda) per numero di schermi ogni milione di abitanti. Il che significa, banalmente, che è molto più facile trovare un cinema in Francia e in Irlanda che in tutti gli altri Paesi europei.

Se il cinema francese ha successo in tutto il mondo, il merito è sicuramente del coraggio imprenditoriale della società francesi, che a sua però trova radici solidissime nelle politiche statali: tant’è che il Ministro Franceschini ha ribadito in più occasioni di aver preso a modello il sistema francese per elaborare la Legge Cinema entrata in vigore a gennaio di quest’anno (ma di cui ancora si aspettano i decreti attuativi: per maggiori informazioni, qui un servizio di Report dello scorso Aprile). Quello francese è un sistema complesso basato su meccanismi che premiano la qualità lungo tutta la filiera (dal produttore, al distributore all’esercente) e che utilizzano una parte sostanziosa dei ricavi per sostenere il cinema degli esordienti. Il cinema di Xavier Legrand, per intenderci.

La Francia, insomma, investe nel cinema soldi pubblici e soldi privati con un ritorno economico e d’immagine che si distacca nettamente da quello degli altri stati europei. Nel frattempo, mentre attendiamo i risultati della Legge Franceschini (sui cui presupposti ci sono visioni contrastanti, come segnalano i colleghi di Quinlan.it qui), il cinema italiano sta avendo una lieve ripresa rispetto agli scorsi anni (+6% di spettatori in sala rispetto al 2015). Il numero degli accessi è leggermente aumentato, ma la distanza con la Francia è ancora di cento milioni di biglietti venduti; che si traducono non solo in ricavi minori per chi produce e distribuisce, ma anche – forse soprattutto – in una capacità nettamente inferiore di dare sostegno a quanti abbiano il merito e la competenza di contribuire all’evoluzione della settima arte. La Francia, del resto, ci insegna che al cinema è un tutto circolo virtuoso: quando si investe correttamente, il pubblico è disposto a rispondere in modo più che positivo.

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