ammore e malavita

Il Cinema (popolare) ritrovato

Dopo anni i selezionatori e i giurati di Venezia tornano a guardare al grande pubblico

Guardando ai dati storici sui film premiati dalla Mostra del Cinema di Venezia è palese come tra i registi artigiani di un cinema d’intrattenimento e autori impegnati la bilancia penda decisamente a favore di questi ultimi. Per tanto da parte della giuria presieduta da Annette Bening è stata una scelta di rottura con il passato il far trionfare The Shape of Water di Guillermo Del Toro: un film che sembra il figlio di un rapporto sessuale tra Tim Burton e Steven Spielberg dopo una notte in un parco acquatico, un cinema da sala che si pone soprattutto l’obiettivo, perfettamente raggiunto, di commuovere. Se si pensa a The Woman Who Left di Lav Diaz e Desde Allà di Lorenzo Vigas, vincitori del Leone D’Oro nelle due precedenti edizioni e rappresentanti di un cinema sperimentale e raggelato, è evidente come sia avvenuta una rivoluzione copernicana che ha posto al centro lo spettatore e il mercato cinematografico.

Coerente a tale logica è stata la decisione di premiare la sceneggiatura di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, un noir geniale ma che forse esagera con i suoi show verbali, a discapito di quelle di The Insult di Ziad Doueiri oppure di La Villa di Robert Guédiguian meno potenti ma di ben altro spessore sociale e letterario.

Apoteosi delle scelte orientate alla gratificazione del pubblico è il controverso Mother! di Darren Aronofsky, scelto come partecipante al concorso principale ma rimasto all’asciutto di premi, un home invasion molto confuso ma che ha la pelle del futuro cult. Facendo fin troppo il verso ai suoi vecchi film e con un’intensità altalenante, il regista provoca il più che può, arrivando a brutalizzare la mente e il corpo della diva Jennifer Lawrence, moglie che, in una casa che sanguina come fosse fatta di carne, preserva il marito scrittore (Javier Bardem) dalle minacce di un mondo estraneo che però potrebbe essere fonte di ispirazione proprio in quanto tale. Il dentro e il fuori, la paura e il delirio.

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E non diciamo “in Italia questo non succede mai”, perché Ammore e Malavita il poliziottesco cantato dei Manetti Bros, che sui generi hanno costruito una carriera, è il film prettamente popolare più riuscito presente nella selezione principale. Un’epica di amicizie tradite e amori dimenticati che omaggia quella vasta filmografia di genere degli anni Settanta e che, grazie all’azzeccato cast su cui spicca la coppia di protagonisti Serena Rossi e Giampaolo Morelli, crea nello spettatore una bellissima sensazione di sincerità e genuino coinvolgimento. Le lacrime e il piombo, il sangue e la melodia

Appartiene al cinema di genere anche The Third Murder di Kore-eda Hirozaku, thriller inesorabile e dolente, ben diverso negli intenti rispetto ai film orientali che siamo stati abituati a vedere in concorso. Forse nella ricerca di un cinema vario e di massa, sono mancati i film capaci di provocare risate se non contiamo quelle amare di The Leisure Seeker di Paolo Virzì e quelle nervose del deludente Una famiglia di Sebastiano Riso, film dal tono sbagliato sul dramma della compravendita di bambini.

The Third Murder, Hirokazu Kore-eda

The Third Murder, Hirokazu Kore-eda

È sempre stato molto difficile vedere alla Mostra di Venezia il cinema basso e quello impegnato ballare nella stessa sala, con i film di genere spesso relegati nelle sezioni collaterali. Venezia 74 ha infranto questa regola non scritta, dando un ampio spazio in ogni sezione a tanti filoni cinematografici e ad alcune opere che hanno osato nel mostrarci il lato meno ovvio del cinema d’autore.  L’israeliano Samuel Maoz ha contaminato con la suspense hitchcockiana e il Giallo il check point, luogo di snodo tra guerra e pace, in cui è ambientato parte di Foxtrot, tragedia pacifista premiata con il Leone d’Argento. C’è stato il cinema western nell’australiano Sweet Country firmato dal regista aborigeno Warwick Thornton, il cinema carcerario con Brawl in Cell Block 99 di S. Craig Zahler che in un tripudio di ossa rotte ha dato una lezione di anatomia alla platea della manifestazione e ancora quello satanico con The Devil and Father Amorth, di William Friedkin, documentario sull’ultimo esorcismo praticato da quello che è stato l’Esorcista per antonomasia, padre Amorth.

Gatta Cenerentola, Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone

Gatta Cenerentola, Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone

Ancora una volta però, i rischi maggiori sono stati presi dalle produzioni presenti nella sezione parallele, una vera via crucis d’innovazione e cattiveria in cui si sono fatti notare gli italiani. Andando oltre la sfera dell’intrattenimento, il film d’animazione Gatta Cenerentola dei registi Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone, parte dalla favola per poi raccontare la corruzione e la mala politica che come la povere e la cenere sporca la città di Napoli e in Italia in generale. Molto interessante è Il Contagio di Botrugno e Coluccini, un crime italiano ben ordito ambientato nelle periferie romane. Un limpido mosaico di anime nere di derivazione pasoliniana.  Due esempi di un cinema italiano affascinante come una combustione a fuoco lento ma spesso più coraggioso che riuscito, che cerca di dire qualcosa di diverso e con una buona consapevolezza del mezzo cinematografico, ma con una scelta delle storie ancora troppo legata alla cronaca nazionale.

Questa carrellata di titoli aiuta a rendere evidente come nei meccanismi del cinema popolare, nei suoi stereotipi – i proiettili, i baci, le vendette, la violenza – esistano gli strumenti per avviare nel cinema d’autore un’apertura al vasto pubblico che può solo fare del bene.

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