The Disaster Artist James Franco

TFF 35 – Il cinema sotto la mole #1

Il meglio del Torino Film Festival 2017

Alla vigilia dei festival capita di sentire polemiche, spesso sterili, sulla manifestazione che sta per venire: così la trentacinquesima edizione del Torino Film Festival ha dato fiato a questioni riguardanti il minor numero di film proiettati (169 contro i 213 del 2016), la riduzione degli schermi, con la “soppressione” delle tre sale del cinema Lux, il cambiamento della serata inaugurale dal Lingotto al Museo del Cinema e l’esigua presenza di ospiti. Al netto di queste prime giornate festivaliere ci sentiamo di schierarci con Nanni Moretti, il quale, durante la proiezione di Notte Italiana del compianto Carlo Mazzacurati, primo film prodotto dalla sua Sacher Film, ha preso le difese del TFF: «Il Torino Film Festival va benissimo così com’è. Non ha bisogno di aggiustamenti o cambiamenti. È un festival amato dalla città e dai suoi cittadini […] è di qualità e popolare. È un festival dove mi fa sempre molto piacere tornare come spettatore». E fa piacere anche a noi.

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Per quanto riguarda il concorso principale Torino 35, interessante è la presenza di Beast, esordio al lungometraggio di Michael Pearce, regista inglese dell’isola di Jersey, nel canale della Manica. Proprio su quest’isola è ambientato questa sorta di thriller psicologico; protagonista è Moll (Jessie Buckley), donna ventisettenne succube della madre e vittima di una famiglia opprimente che la tratta con superiorità. La sua vita svolta nel momento in cui conosce Pascal, giovane di bell’aspetto, che vive fuori dagli schemi in un microcosmo perbenista e ipocrita. Il giovane è altresì sospettato di essere l’assassino di una ragazza adolescente, recentemente scomparsa, ma Moll sceglie di rimanergli accanto, stravolgendo la sua esistenza. Nel mezzo della bellezza e suggestione del paesaggio di questa magnifica isola nel canale della Manica spicca il talento di Jessie Buckley che sembra sempre sull’orlo dell’esplosione, ma forse il dolore proveniente dal passato le impedisce di sfondare i limiti entro il quale il suo personaggio è inserito. Tutto quanto esaltato dal controluce con il quale Pearce spesso decide di esaltare il chiaro viso e i rossi capelli della sua protagonista.  

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After Hours registra la presenza di The Disaster Artist, diretto e interpretato da James Franco, che riprende le vicende di The Room, pellicola del 2003, stroncata dalla critica, ma divenuta presto un cult movie soprattutto grazie alle proiezioni di mezzanotte. Franco reinterpreta Tommy Wiseau, personaggio enigmatico dalla provenienza incerta (forse polacca) che scrisse, diresse ed interpretò questo film, costato circa 6 milioni di dollari, che ne incassò solamente 1800 durante la prima uscita in cartellone. Ne viene fuori una commedia al limite del demenziale, che diverte soprattutto nella recitazione di James Franco.

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La sezione TFFDoc è arricchita da Napalm, ultima fatica di Claude Lanzmann, girato in Corea del Nord di nascosto, senza il permesso dell’autorità. Il film, proiettato al TFF nel giorno del suo novantaduesimo compleanno, comincia riflettendo sul regime nordcoreano per poi virare in chiave intimistica, personale. L’anziano autore di Shoah, ribadendo una volta di più l’importanza della memoria, qualunque essa sia, torna a un pomeriggio di sessant’anni prima, passato in compagnia di un’infermiera nordcoreana, con la quale non fu possibile comunicazione linguistica, eccezion fatta per la parola napalm, arma pesantemente utilizzata dall’esercito USA durante la guerra di Corea, qui termine di orrore universale. La macchina da presa, oltre a ricordare, mostra allo spettatore la malinconia per la giovinezza e gli amori andati di un uomo anziano, affaticato, ma che riesce ancora una volta a fare del cinema vitale ed energico.

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La piccola chicca di questa prima parte di Festival è però la presenza di Rey, ambizioso progetto firmato Niles Atallah che esce direttamente dai cantieri del TorinoFilmLab. Il film narra la storia di un avvocato e avventuriero francese, Orélie-Antoine de Tounens, che, armato di una costituzione scritta di suo pugno e di una nuova bandiera, si fece strada a cavallo attraverso i territori aspri e selvaggi dell’estremo sud di un Sudamerica da poco indipendente. Una volta arrivato, riuscì a riunire le popolazioni indigene e a farsi scegliere come loro capo. Ci troviamo di fronte a una pellicola molto particolare, che sperimenta moltissimo, a partire dalla messa in scena onirica e surreale passando per la coraggiosa e anomala scelta di accostare a immagini digitali, film di repertorio provenienti dall’EYE Film Institute di Amsterdam (che è anche co-produttore del film) e sequenze, girate dallo stesso Atallah, in pellicola 16 e 35 mm che il regista ha sotterrato nel giardino di casa sua per tre lunghi anni, allo scopo di ottenere lo stesso effetto che avrebbero avuto le immagini se fossero state girate durante il periodo nel quale il film è ambientato. Se solo il cinema fosse esistito nel 1860. Tratto da una storia vera, i titoli finali ci informano che il regno esiste ancora oggi, e gli eredi sono tuttora esiliati in Francia.

 

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