Suite francese

Suite francese – Irène Némirovsky

Suite francese (Feltrinelli, 2014) è un affresco spietatamente realista ma incompiuto di una società che perde l’onore e la vita. Affascinata dalla qualità visiva e musicale delle parole, Irène Némirovsky aveva in mente una suite (romanzo) di cinque movimenti (parti) sulla Francia in guerra degli anni ’40. Ne completerà solo due: Temporale di giugno e Dolce. Poi la denuncia come ebrea, l’arresto e la deportazione ad Auschwitz nel luglio del 1942, dove morirà un mese dopo.

La straordinaria attualità del romanzo sta nella scelta dell’autrice di lavorare sulla lava ardente, di scolpire l’istantaneo della propria contemporaneità.

Temporale di giugno è un affresco corale che racconta con tragicomica ironia l’agire di persone ordinarie in circostanze straordinarie: la guerra, l’arrivo delle truppe naziste a Parigi e il conseguente esodo quasi biblico dei francesi verso la campagna. Nelle vicende dei personaggi in fuga, l’egoismo e la salvaguardia personale prevalgono sullo spirito comunitario rivelandone l’ipocrisia. Come la ricca Madame Péricand che, sorpresi i figli a distribuire grandi manciate di cioccolato e caramelle ad altri profughi in difficoltà, li rimprovera aspramente e minaccia punizioni severe: di lei Némirovsky scrive che la carità cristiana, la mansuetudine di secoli di civiltà le cadevano di dosso come vani orpelli disvelando un animo arido e vuoto.

La seconda parte, Dolce, è invece dedicata ai primi mesi dell’occupazione nazista nel villaggio francese di Bussy. Tra gli abitanti e l’invasore tedesco si instaura un rapporto ambivalente di attrazione e repulsione, amore e odio, cristallizzato nell’incontro tra due personaggi: Lucile Angellier, esponente di una ricca famiglia di proprietari terrieri di Bussy, e l’ufficiale tedesco Bruno von Falk. Il loro legame è qualcosa di puro e intenso, inesorabilmente corrotto dalla guerra, dall’appartenenza a due universi troppo distanti, da quei moti oscuri del sangue sui quali avevano contato per unirsi.

Diversamente dall’adattamento cinematografico di Saul Dibb (Suite francese, 2014) in cui il rapporto tra Lucile e Bruno è travisato e romanzato, l’autrice rifiuta il compiacimento della finzione per dare spazio alla brutalità del vero.
La qualità eccezionale di Suite francese va cercata infatti nel suo gusto dolce-amaro, in quel turbamento interiore con cui la scrittura di Irène Némirovsky si congeda dal lettore.

Il lieto fine di un libro è come un ottimo palliativo, che ci fornisce una tregua momentanea dall’assurdità del reale; ma in fin dei conti sono l’incompiutezza e un finale destabilizzante ad affascinarci realmente, perché è proprio in essi che riconosciamo una parte di noi, la verità di alcune nostre esperienze umane. Conoscere sé stessi vuol dire non soltanto essere consapevoli delle proprie virtù ma anche e soprattutto delle zone d’ombra. Conoscere e riconoscere sé stessi vuol dire percorrere in pochi secondi sul solido ponte delle parole gli abissi dell’animo umano, vedere scontrarsi le passioni come i lampi in una notte di temporale e guardare infine salire intorno a tutto questo caos passionale e ripiegarsi il cielo più calmo, più puro, più sereno che forse abbia mai registrato la mente umana.

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