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Submergence

L'amore secondo Wim Wenders

Il topos amoroso è sicuramente uno degli elementi più ricorrenti della storia del cinema: sottotesti dal sapore melodrammatico o contrappunti debitori del loveworld rosa si sono infatti ampiamente confrontati con generi vari ed eventuali, dando vita a connubi più o meno riusciti. Accanto alle produzioni commerciali, anche il cinema d’autore ha fatto dell’amore un elemento narrativo fondamentale, declinandolo tuttavia spesso alla luce del suo epilogo o nelle sue forme più astratte ed ontologiche. Submergence (2014), ultima pellicola di Wim Wenders tutt’oggi inedita in Italia, rientra sicuramente in una delle risultanti più tradizionali di questo secondo connubio, intrecciando le politiche stilistiche del cineasta de Il cielo sopra Berlino (1987) con temi e iconografie primariamente legate alla sfera emozionale. Tralasciando per una volta le tragiche derive della filmografia di Antonioni o gli affetti silenziosi di Ozu, l’amore secondo Wenders è invece narrato nel suo sbocciare, nonché nella lontananza che a volte si produce nel suo immediato.

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La storia racconta della biologa marina Danielle Flinders (Alicia Vikander) che, durante una ricerca nel mare della Groenlandia, non riesce a non pensare a James Moore (James McAvoy), un affascinante agente segreto britannico conosciuto l’anno prima sulle coste della Francia. Innamorati l’uno dell’altra, i due avevano deciso di rimanere in contatto, fino alla scomparsa senza alcun preavviso di quest’ultimo. Dubbiosa di essere stata abbandonata, Danielle non sa che in realtà il suo amato non l’ha assolutamente dimenticata, ma che è stato rapito e segregato da un gruppo di terroristi jihadisti.

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Una storia d’amore a suo modo tradizionale è dunque il centro nevralgico di Submergence che, pur rifuggendo le classiche dinamiche della narrazione al femminile, lascia gli eventi bellici sullo sfondo, regalando un dramma principalmente amoroso. Detto ciò, una domanda sorge tuttavia spontanea: l’autorialità di Wenders riesce ad arricchire e magari a sovvertire una storia altrimenti estremamente canonica? Nonostante l’accorto stile di uno degli esponenti cardine del Nuovo cinema tedesco, la risposta non può che essere negativa. Da sempre un grande sperimentatore, Wim Wenders sembra infatti qui perdere qualsiasi appiglio di originalità e di controtendenza, regalando un film narrativamente tradizionale.

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Se la storia ha insegnato che i grandi autori possono felicemente intrecciarsi con le regole dei topoi classici – si pensi, come esempio storico, all’ottimo connubio tra il Neorealismo di Vittorio De Sica e la normatività del cinema hollywoodiano in Stazione Termini (1953) o, in tempi più recenti, tra l’estro di Christopher Nolan e le logiche del cinecomic nella trilogia de Il Cavaliere Oscuro –, ciò non è rispettato in Submergence, che poco permette di ritrovare lo stile che ha reso celebre il noto regista. A rendere il tutto ancora più macchino, ci pensa poi Alicia Vikander che, reduce dalla buona interpretazione della sua nuova Lara Croft, appare in questo film a dir poco fuori luogo, incapace di dare credibilità ad un personaggio altrimenti complesso e sfaccettato.

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Volgendo lo sguardo verso il cinema contemporaneo, e soprattutto su quello d’autore (etichetta oggi più instabile che mai), Submergence può in tal senso far sorgere una seconda domanda: oggi è veramente possibile per il cinema o per i prodotti seriali raccontare in modo nuovo l’amore? Non volendo cadere in un bieco e forse anacronistico post-modernismo, il tema romantico è sicuramente uno dei più complessi da trattare nelle produzioni odierne, in quanto intrinsecamente caricato da una tradizione che travalica l’opera audiovisiva, inglobando le arti classiche e soprattutto la letteratura.

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Credere che tutto sia già stato fatto e visto è però una giustificazione semplicistica e forse troppo sbrigativa: in un periodo in cui il surplus di immagini e prodotti produce un’esondazione di temi e declinazioni, dovrebbero essere proprio autori come Wim Wenders a ragionare sull’amore, tentando di darne letture se non nuove comunque originali, libere cioè da qualsiasi prevedibilità imperante nei lungometraggi più mainstream. Submergence, lontano da questo principio di freschezza e atipicità, diventa pertanto il simbolo di una necessità pervasiva e ricorrente, ovvero quella di non fossilizzare i racconti d’amore in strutture archetipiche ma di aprirli ad inedite e moderne trasfigurazioni.

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