Rotterdam 43 – Tiger Awards, Bright Future, Spectrum
Da più di quarant’anni l’International Film Festival Rotterdam è una piattaforma unica all’interno del cinema europeo e non solo. Uno spazio particolare ed estremamente aperto, in grado di costruire un rapporto diretto tra i filmaker e il pubblico; questo spirito si è conservato nel corso degli anni, garantendo al festival un’atmosfera informale e un pubblico locale di affezionati partecipanti. Da qui inizia il nostro piccolo viaggio attraverso le sezioni e i film (trascurando, purtroppo, per ordine di spazio gli interessanti cortometraggi) che hanno caratterizzato la 43esima edizione in attesa già della prossima, proprio perché Rotterdam è il primo appuntamento della stagione festivaliera.
Hivos Tiger Awards è la competizione principale, composta da quindici film di finzione (opere prime e seconde) caratterizzate per varietà tematica e autorialità. Tra le opere più importanti (o attese) viste ci sono sicuramente: Rioccorrente, Mein Blind Herz e Stella Cadente. Il primo è l’esordio di Paulo Sacramento, un thriller brasiliano che lascia troppo spazio alla forma e ai simboli narrativi con personaggi che risultano poco esplorati e limitati. Il secondo di Peter Brunner è la guerra di un uomo contro se stesso, autobiografico ed estremo, intimo e personalissimo. Il terzo è l’esordio alla regia del produttore catalano Minarro con un ritratto singolare e audace del regno di Amedeo di Savoia, un singolare punto di partenza per riflettere, stupirsi.
A vincere però sono stati il giapponese Anatomy of a Paper Clip di Ikeda Akira, intimo, con pochi attori e ancor meno location, quasi privo di trama ma sensibile e complesso; il sud-coreno Han Gong-Ju di Lee Su-Jin, storia semplice di una ragazza costretta a cambiare città e vita, e lo svedese Something Must Break di Ester Martin Bergsmark ritratto che si immerge nell’adolescenza, l’amore e la sessualità in una Stoccolma fatta di aree industriali abbandonate, sporchi club e parchi disabitati.
La sezione Bright Future è sempre dedicata a opere prime e seconde ma leggermente più particolari e sperimentali, una ricerca verso i nuovi linguaggi dei giovani registi. Qualcuno già noto come Antoine D’Agata (grande fotografo Magnum) che presenta io suo Atlas, un viaggio universale, una geografia poetica del dolore e della solitudine, nell’estetica senza paura; o come Eric Baudelaire e il suo splendido The Ugly One, unione tra vissuto e fiction per diffondere la voce di una persona a lungo privata del passaporto e della libertà. Un’accoppiata molto interessante è quella di Ben Rivers e Ben Russell per il loro esordio in co-regia (A Spell to Ward Off the Darkness) evocano i fantasmi dell’utopia e della libertà individuale ai giorni nostri.
Allo stesso tempo la sezione comprende opere di registi ancora assolutamente da scoprire. Lorenz Merz con Cherry Pie crea un ritratto femminile di pedinamento, continuamente sospeso in un’atmosfera quasi onirica e irreale. In Costa da Morte, Lois Patino percorre con la cinepresa e lo sguardo la sua Galizia osservando i pescatori e gli artigiani, captando una relazione conflittuale con la terra e i suoi elementi, sul paesaggio (e sull’interiorità dell’uomo). Quello di Morato (The Creator of the Jungle) invece è un freschissimo ritratto che racconta la stranezza di un uomo amabile, re e protettore della propria giungla dai nemici che incontrerà nella sua vita, fino a diventare (su un piccolo set) un novello Tarzan. Jet Leyco (Leave it for tomorrow, for night has fallen) si mostra come uno dei nuovi volti della new wave fillipina con un film tenebroso, sempre a caccia della luce. Documentario antopologico quello di Stephanie Spray, Pacho Velez, Manakamana mostra la vita in uno dei luoghi più affascinanti della terra, infine segnaliamo il film di Nawapol Thamrongrattanarit (Mary is Happy, Mary is Happy) interessante digressione thailandese sulle relazioni ai tempi dei social.
La sezione Spectrum invece indaga i maggiori festival internazionali dell’anno precedente e altre opere imponenti e contemporanee. Sono stati presentati nuovi lavori di registi più esperti e artisti che forniscono un contributo essenziale alla cultura cinematografica (e non solo) internazionale. Da Cannes sono stai presentati lo splendido e controverso L’inconnu du Lac di Alain Guiraudie, il dolce ed esistenziale Nebraska di Alexander Payne (UPC Audience Award), il metavampiresco Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch, e il nuovo gioiello texano di Roberto Minervini (Stop the Pounding Heart).
Da Roma invece sono arrivati il definitivo e filosofico Hard to be a God del compianto Alexei German, la fantascienza contemporanea e sentimentale di Spike Jonze (Her), il romantico e malinconico ritratto di Victor Goncalves (La vida Invivisel) e l’enorme film di lotta e autodeterminazione di Tariq Teguia (Zanj Revolution). Da Venezia e Locarno rispettivamente il monumentale documentario di Wang Bing (Feng Ai) e uno dei più straordinari film sugli ultimi giorni della pellicola e del cinema, l’Educação Sentimental di Julio Bressane, un punto di fine ma anche un possibile punto di ri-inizio. Tra gli italiani presenti il documentario malinconico sui sogni della nostra primissima Repubblica di Marco Santarelli (Lettera al Presidente), la storia di provincia malata e dalle speranze ridotte al lumicino di Alessandro Rossetto (Piccola Patria) e la prima mondiale del ritratto poetico e astratto delle macerie de l’Aquila di Stefano Odoardi (Mancanza-Inferno).
Una menzione particolare li meritano gli intimissimi piccoli lavori di Paul Agusta, un altro lavoro di dissidenza del’artista cinese Ai Wei Wei (Appeal ¥15,220,910.50), il racconto epistolare collettivo (tra cui Tsai Ming Liang) di Letter from the South, ma soprattutto il Lav Diaz a colori e dostojevskjiano di Norte, the end of History l’ennesimo film gigantesco dell’autore fillipino che indaga il senso di colpa e d’umanità. Uno di quei film che restituisce un’epoca.