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L’uomo che comprò la luna

Una favola moderna che si fa icona di un popolo ed una terra molte volte dimenticate nello stivale.

Pino e Dino, due agenti di una non meglio precisata agenzia segreta intergovernativa, ricevono una telefonata in buia stanza. La situazione è grave: qualcuno in Sardegna è entrato in possesso del nostro satellite. La preoccupazione degli Americani di una figuraccia agli occhi del mondo, muove i due agenti ad arruolare l’uomo migliore per entrare in terra sarda e mettersi in contatto con gli isolani. Viene scovato Kevin Pirelli, secondo nome meneghino del più nuragico Gavino Zoccheddu, che, suo malincuore, accetta l’incarico. Seguirà un duro e aspro allenamento di “sardità” con un immigrato nostalgico, Badore, che a colpi di morra e di casu martzu trasformerà Kevin in una perfetto sardo, pronto per la ricerca dell’uomo che comprò la Luna.

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“L’uomo che comprò la luna” sembra essere un film gentile e stralunato, invece è più esaltato e aggressivo di quanto non voglia far intendere. Una partenza difficile da accettare: Stefano Fresi e Francesco Pannofino formano una coppia comica alla Stanlio e Olio che cozza con la serietà drammatica del preambolo. Una fiaba moderna che allarga i suoi confini fino agli Stati Uniti ma solo come un lontano nemico. Tutta l’attenzione è concessa a Kevin/Gavino e alla sua battaglia interiore. Seppur poco approfondito, il passato sardo di Gavino lo ha spinto ad abbandonare gli usi e costumi della sua terra natale. Il Kevin che ha costruito nelle vesti di soldato semplice e agente segreto è un uomo goffo e impacciato che cerca di darsi un tono. Più sicura e irreprensibile è la figura di Badore, interpretato da Benito Urgu, voce dei Barrittas e volto noto della televisione italiana. Grazie alla sua interpretazione, Badore diventa un mentore strampalato ma integerrimo come il maestro Kesuke di “Karate Kid”.

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Il secondo film di Paolo Zucca, sardo anche lui, vince solo per metà: il suo aspetto poetico è palese e delicato, ma si perde battendo la strada dell’identità nazionale, gonfiando così troppo le aspettative. La Sardegna ha tanto da offrire come terra e tradizioni. La sua Storia viene incorniciata nelle lande desolate della Luna grazie ad un surrealismo a cui Zucca ci ha abituato già dal primo film, L’arbitro (2013). Fra le montagne e le spiagge di quest’isola si sono mossi grandi personaggi che hanno lottato in nome della libertà e in nome di ciò che ritenevano giusto. Un sentimento questo che accompagna anche Gavino verso la fine. Una fine troppo potente e anarchica per una vicenda così delicata e romantica, ma che si fa icona di un popolo ed una terra molte volte dimenticate nello stivale.

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