Il contagio

Il contagio – Matteo Botrugno, Daniele Coluccini

Sul grande schermo le anime alla deriva del romanzo di Walter Siti

Nella periferia della capitale d’Italia arroventata nei colori e negli animi, le vite di tredici personaggi si affacciano dai balconi di un palazzo popolare: ci sono i nuovi inquilini Mauro e Simona, lui braccio destro di Carmine – il boss locale – lei moglie-oggetto istruita ma costretta a fare la prestanome; ci sono Marcello e Chiara, un culturista rimasto bambino e una donna dalla salute precaria, col fratellastro – Richetto – finito nello spaccio; c’è Valeria, che di mestiere fa la madre di Attilio, criminale da due soldi; Bruno e Flaminia, coppia affiatata straripante passione; c’è Marina, che dopo il carcere vuole recuperare il rapporto con il figlio ormai cresciuto da un’altra famiglia; c’è Carmen, borghese che compare a metà film per organizzare un (finto) party di crowdfunding. E infine lui, il Professore, sguardo narrante privo di giudizio che racconta la borgata con voce straniera ma tutt’altro che flebile: le sue parole, recuperando suoni perduti e vocaboli dimenticati, ricordano quelle dei poeti. Sono le parole di Walter Siti, autore del romanzo da cui, a dieci anni di distanza, Matteo Botrugno e Daniele Coluccini hanno tratto il loro secondo film.

Il contagio

Ci avevano lasciati con Et in terra pax, promettente opera prima che a partire da Venezia aveva fatto il giro dei festival di tutto il mondo. Ci ritrovano sette anni dopo con un film vigoroso e serratissimo, che abbandona in partenza la pretesa di inquadrare la borgata nella sua interezza, tentando piuttosto di raccogliere alcuni frammenti di un tutto sconfinato fino a comporre un puzzle che resta sì incompleto, ma che lascia addosso una sensazione vivace di realtà. La poetica di Botrugno e Coluccini ricorda molto quella pasoliniana; la periferia che osservano è cruda e lirica allo stesso tempo, brutale e ipnotica, vera. Delegano agli attori, tutti bravissimi, la facoltà di animare persone, non personaggi: gente comune la cui forza di reagire ai propri piccoli grandi drammi va e viene a giorni alterni, come accade nella vita.

Nel pieno rispetto della bipartizione del romanzo, Il contagio si divide in due sezioni distinte. La borgata lascia spazio poco alla volta ai quartieri più benestanti della capitale, di pari passo con la scalata sociale di uno dei protagonisti. E il film, esattamente come la sua vita, si raffredda e si addensa, fino ad entrare in un circolo vizioso da cui esce con una sequenza narrativamente struggente e visivamente spiazzante. È la catarsi degli animi, che ci ricorda che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Come un uragano che sradica ogni cosa che trova, Il contagio diventa molto più di un film, si fa esperienza dal ritmo vivace e polifonico che supera la dicotomia buoni-cattivi perché ha come obiettivo finale quello di raccontare le storie degli ultimi.

Il contagio

Il duo Botrugno-Coluccini trova la sua voce unendo l’etica, l’estetica e un pizzico di genere. «La fame di potere è una malattia», recita la locandina del film, perché quando si vive tirando a campare ogni scelta illogica diventa lecita e ogni individuo sano un essere spregevole, guasto, corrotto.

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