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Hammamet

Gianni Amelio riapre una questione che risulta chiusa e archiviata attraverso una nuova rilettura, per lo meno umana, del personaggio di Craxi.

Bettino Craxi e Hammamet ebbero una lunga e forzata convivenza. Da una spiaggia tunisina con le belle giornate, l’ex presidente del consiglio e segretario del partito socialista poteva vedere l’Italia in lontananza. Esiliatosi spontaneamente dal momento che in realtà in Italia pendevano a suo carico due condanne per corruzione e finanziamenti illeciti al partito, emesse poi in contumacia a seguito del maxi processo mani pulite. Senza dubbio Bettino Craxi, nome che non viene nominato per tutto il film, è parte del passato italiano, fu grande statista e personalità controversa facente parte di un’epoca che spesso si tende a non voler approfondire.

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Gianni Amelio con il suo film, nel quale si prende molte libertà, ripropone al pubblico una visione degli ultimi anni di vita tunisini del presidente. Senza tentativi di accusa o riabilitazione quello che ci viene mostrato è un Bettino Craxi uomo, nonno, marito e padre. Non un familiare come tanti ovviamente. Molte caratteristiche ereditate da anni di carriera politica a capo di un partito erano ormai parte del suo essere. Un’eredità di uomo di potere che però sbiadisce piano piano con la lontananza forzata e l’avanzare dell’età. Un uomo abituato alla ribalta che convive con altri scenari e altri interpreti ben lontani da quelli a cui si era abituato. Un film sulla routine di un uomo in dirittura d’arrivo che pensa al passato, in fuga dal presente e preoccupato dal futuro: passato di cui non si pente, presente che non condivide e che come il futuro gli sta sfuggendo dalle mani con la propria eredità politica e storica degli anni a venire.

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Il film di per sé non presenta particolari originalità, molto, troppo, viene detto per metafora o allusione. Caratterizzato volutamente da una linea apolitica, i fatti di cronaca e giudiziari restano spesso dall’altra parte del mediterraneo. Tranne per qualche visita, finestre ogni tanto aperte, come ponti tra lui e l’Italia o il suo passato, ma spesso e volentieri chiuse prontamente. Tanta libertà, come l’espediente narrativo ideato dal regista, che vede la creazione di una figura, figlio del suo passato, che smuove la routine giornaliera del presidente e che con una videocamera ne registra la propria versione dei fatti. Testimonianze craxiane volutamente virgolettate da un formato frame rate differente che distaccano il regista dalle parole del suo protagonista. Un Bettino Craxi magistralmente interpretato da Perfrancesco Favino completamente camuffato da una maschera di trucco che mette seriamente in dubbio l’autenticità, non di Craxi, ma di Favino stesso.  Solo qualche sequenza onirica, della sua infanzia e del rapporto con il padre, sembrerebbero mettere il regista e Craxi “nello stesso luogo del delitto” sennò tutto scorre lentamente come l’attesa del protagonista in esilio verso la morte.

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