Goya

Goya o l’amara via della conoscenza – Lion Feuchtwanger

Chiunque conosca i quadri di Francisco Goya concorderà nel dire che è stato il primo, grande rivoluzionario pittore spagnolo. Lion Feuchtwanger doveva averlo bene a mente quando nel 1951 pubblicò Goya o l’amara via della conoscenza. Tradotto in italiano per Castelvecchi editore, il fil rouge di questa biografia romanzata su Goya sembra essere proprio la volontà di autoaffermazione, quella di un artista che riesce a parlare un idioma tanto universale quanto autentico nella sua singolarità.

Con Goya o l’amara via della conoscenza veniamo trasportati indietro di due secoli, nella Spagna di Carlo IV (1748-1819). A fine Settecento la Spagna era una delle tante nazioni che subiva la strepitosa onda d’urto della Rivoluzione francese, e, tuttavia, i pensatori progressisti non vi trovavano un terreno fertile dove far germogliare nuove idee a causa dell’unica istituzione che in qualche modo potesse pareggiare il potere della famiglia reale: il tribunale dell’Inquisizione. È in questo clima che Goya comincia a far conoscere le proprie doti artistiche, esuli da qualunque canone classicista, dipingendo quadri su commissione per diversi nobili dell’élite aristocratica madrilena.
Chiunque commissioni ritratti al maestro spagnolo percepisce fin da subito che egli dipinge in un modo mai visto prima. Goya è in grado di cogliere le sfumature interiori più recondite di ogni suo soggetto senza che gli osservatori capiscano in che modo queste vengano effettivamente tradotte su tela. I colori, le espressioni, le pose sono tutti parte di un’orchestrazione pittorica volta ad avvolgere nel mistero le figure dipinte.

L’autenticità della pittura di Goya fa da controcanto all’inganno e alle falsità che caratterizzano le dinamiche sociali dell’aristocrazia madrilena. Ciò che più colpisce i ricchi mandanti dei ritratti è proprio l’aura di verità che trasudano: Goya sembra cogliere l’essenza di ogni suo soggetto sia nelle sue declinazioni positive che negative. Ciò che gli interessa è la pura verità, e Feuchtwanger preme spesso su questo carattere fondamentale della storia. Infatti, la discrepanza che si crea tra l’autenticità dell’arte e l’ambiguità delle dinamiche sociali è il nodo centrale della narrazione: Goya coglie angeli e demoni di ogni oggetto che si propone di dipingere, senza preoccuparsi delle ripercussioni che un’arte dotata di una tale, autentica crudezza possa causargli. L’inquisizione, l’orgoglio della famiglia reale, la vanità dei suoi committenti sono tutte realtà con le quali deve scontrarsi ma da cui alla fine uscirà vincente.

La pittura, come si ripete più volte all’interno del romanzo, è alla fine un idioma universale che resiste a qualunque spinta conservatrice o occultante: non si può arginare il genio creativo, specie quando è in grado di cogliere e mostrare la nuda realtà delle cose con un linguaggio che ogni umano può intendere.

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