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#3: Di ischemie, futuri incerti e potere del buongiorno

Dentro la Capoccia: racconti sul primo anno di vita nella Capitale

Approfitto di una delle rare mezz’ore di non-pioggia degli ultimi giorni per catapultarmi al supermercato a fare provviste. Cammino intrappolato dal passo funebre di un vecchietto col cane su un marciapiede senza corsia di sorpasso. Dopo una ventina di metri in cui analizzo la mia potenziale contromossa sbuca dalla porticina di una cantina un altro anziano tondo e grassoccio, che sbatte la testa sullo spigolo dello stipite.

“Porca M… a, che tranva!” fà, rivolgendosi al vecchietto col cane “Che poi – detto tra noi – qualche tempo fa c’ho avuto pure un’ischemia in testa…”

Ecco: quel “detto tra noi” fra sconosciuti, sbucato dal nulla, che mi diverte e mi costerna riesce a distrarmi solo per un attimo dal pensiero che oggi, terzo martedì di gennaio del 2014, è una giornata importante. Una giornata determinante per stabilire di che morte dovrò morire ogni giorno dei dodici mesi a venire e se potrò essere un degno abitante della Capitale o meno.

Ma vabbè. Arrivo al supermercato e, circondato da studenti trasandati (maschi e femmine), vecchiette denutrite e altra gente a caso tipica di tutti i supermercati del globo; riesco a sbrogliare la situazione “SPESA” e avvicinarmi alla fila kilometrica delle casse. Davanti a me, tutte teste che fissano il pavimento, sperando di imbustare le proprie compere più in fretta della cassiera che serve il cliente successivo. Sembra la fila per entrare in una fossa comune. Non vola una mosca. Arriva il mio turno e faccio un gesto che, a giudicare dalle reazioni, è eclatante.

Dico: “Buongiorno”.

E basta. Cioè saluto semplicemente la cassiera. Questa, sulla quarantina, capelli rossi fuoco freschi di parrucchiere, unghie laccate e trucco catarifrangente, sgrana gli occhi e biascica una risposta, evidentemente sorpresa da quel saluto imprevisto e insperato. Mi presenta lo scontrino e mi si avvicina con tono confidente: “Guarda, se avessi avuto la tessera, avresti risparmiato almeno 5 euro”. Ah grazie. La vorrei fare infatti, la prossima volta la farò di certo.

E lei, semplicemente:
NO. LA DEVI FARE ADESSO. LE COSE SE NON LE PRENDI DI PETTO NON LE FAI MAI.

Decido in meno di un secondo che non posso fare altro che obbedire all’ordine e, poco dopo, mi ritrovo in tasca la prima tessera di un supermercato della mia vita. Forte del fatto di aver scoperto i vantaggi del rispettare la gente che lavora, mi preparo per il grande incontro del pomeriggio. Il graaaaaaande incontro.

Per andarci, da casa mia, ci vogliono 5 minuti. La mia coinquilina del Nord mi suggerisce di partire un’ora prima. La mia coinquilina del Sud mi dice di prepararmi un po’ di più e un po’ meglio. E che sarà mai: un colloquio motivazionale per entrare ad un master a numero chiuso; non sono né il primo né l’ultimo, no?

Arrivo davanti la Nobile e Antica città universitaria romana in anticipo ma non troppo, in ansia ma non troppo, pensando alle possibili domande ma non troppo, guardandomi attorno ma non troppo. Il troppo stroppia.

All’ingresso della Sala Colloqui una trentina di ragazzi (maschi e femmine) che mi squadrano dalla testa ai piedi, ultimo arrivato di turno, tutti in evidente stato di trepidante concentrazione. Riesco a trovare un contatto con un paio di loro, visibilmente tirati a lucido, e ottengo l’informazione che segue.

Se il tuo cognome inizia con A-B-C, ti hanno già chiamato.
Il mio cognome inizia per B. da generazioni.
Mai contravvenire ai consigli delle coinquiline del Nord.
Ma scusa, non doveva iniziare alle 16?
Eh ma ha detto che il professore che tiene i colloqui ha un altro impegno e hanno deciso di iniziare alle 3 e mezza. Benvenuto alla Sapienza
Eh benvenuto alla Sapienza, se Dio vò…

Riesco miracolosamente a braccare un assistente sul punto di entrare che mi rassicura sul fatto che i 70 euro che ho versato per fare il test d’ingresso non se li sono mangiati i cani. Ri-sbuca dalla medesima porta poco dopo. Mi chiama, è il mio turno.
Il Grande Incontro.
Entro.

Grazie


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