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Cronache dal lido #8 – Venezia 76

Sul set di film come Le ali della Libertà e Dead Man Walking Tim Robbins ha conosciuto da vicino, in anni fondamentali per la sua carriera, la durezza del sistema carcerario americano. Un sistema che da tempo sembrava rinunciare a qualsiasi tentativo di riabilitazione e che finiva per generare profonde tensioni nella convivenza tra i detenuti. La Actor’s Gang, fondata dall’attore californiano nel 1982, da anni organizza laboratori teatrali all’interno di istituti penitenziari californiani. Dentro la complessa realtà del carcere di massima sicurezza di Calipatria è girato 45 seconds of laughter, prezioso documento del grande lavoro svolto dalla compagnia con i detenuti.  45 secondi di risate sono il momento scelto dagli istruttori per introdurre ogni lezione: un “tempo” utile per mettere in sincrono sensibilità diverse, colmare distanze e far riscoprire ad ogni detenuto il suo essere uomo tra altri uomini. (Stefano Lorusso)

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«Nel corso della nostra vita sono le possibilità e le scelte che definiscono quel che siamo, ma trasportiamo anche dentro di noi materia che non conosciamo e non controlliamo. Qualcosa che ci porta ad essere e ad agire, qualcosa che nasce insieme a noi e ci è stato trasmesso, che ereditiamo. Questo film parla dei legami invisibili che ci definiscono e ci condizionano». Queste le parole del regista portoghese Tiago Guedes per presentare il suo A Herdade, in concorso nella selezione ufficiale. Ambizioso melodramma di ispirazione classica, dichiaratamente legato alla lezione del cinema americano di Minnelli e Kazan, il film si snoda lungo un arco temporale di 60 anni per raccontare la parabola di João Fernandes (Albano Jerónimo), carismatico latifondista “bigger then life”. Ottime premesse purtroppo in buona misura disattese, in un film indubbiamente affascinante e seducente sul piano visivo ma che soffre di una eccessiva dilatazione, e che sembra, a tratti, specchiarsi nel suo riflesso. (Stefano Lorusso)

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Presentato Fuori Concorso alla 76° Mostra del Cinema di Venezia, il nuovo film di Gabriele Salvatores, Tutto il mio folle amore, racconta il rapporto tra un padre assente ed un figlio problematico. Il giovane Vincent, affetto da autismo, vive con la madre (Valeria Golino) e il padre adottivo (Diego Abatantuono), finché, incontrato Willi (Claudio Santamaria), il papà che lo aveva abbandonato, partirà insieme a lui per un folle viaggio per i Balcani. Classico film agrodolce all’italiana, l’intelligenza della sceneggiatura e le grandi interpretazioni attoriali, in particolare dell’esordiente Giulio Pranno, rendono Tutto il mio folle amore un delicato e divertente racconto, inserendo con coscienza elementi comici e sociali, come i viaggi della speranza compiuti dai migranti per arrivare nei paesi Schengen. Salvatores, dopo i pessimi esperimenti de Il ragazzo invisibile, torna ad emozionare con una storia adatta a tutti, che affronta il tema della disabilità e della diversità, della voglia di accettarsi e perdonarsi, veicolata attraverso un incredibile rapporto e feeling recitativo tra Santamaria e Pranno. (Andrea Damiano)

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