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Asaf Avidan Live @ Alcatraz, Milano – 23/04/13

Alcatraz, 23 aprile. Sono mesi ormai che sentiamo parlare di Asaf Avidan. Amano definirlo la rivelazione dell’anno, la reincarnazione di Janis Joplin, l’erede di Leonard Coen. Tante parole che sembrano buttate al vento ma che, inevitabilmente, suscitano una certa curiosità. Finalmente arriva a Milano e l’Alcatraz si riempie di un pubblico così eterogeneo come non mi era mai capitato. Davanti a me c’è un ragazzo con la maglia dei 99Posse, vicino una coppia di cinquant’enni, sulle scale che portano al bar bambini seduti. Asaf ha il potere della voce delle Sirene e quel famoso remix One Day/Reckoning Song è stato il suo Piffero Magico.

Le luci azzurre e fucsia sono una strana scelta che si infrange sulla canottiera bianca del cantante. Il resto della band emerge pian piano dallo sfondo: due cantanti, una delle quali al synth e l’altra con güiro e tamburello, un batterista e un bassista. Tutti ottimi elementi. Il concerto comincia alle 21.45 e la voce del cantautore israeliano conquista subito il pubblico. Succede poi, piano piano, che a quella voce, allo stesso tempo tagliente e ingenua, ti abitui. Solo allora cominci ad apprezzare davvero la musica. Asaf Avidan e la sua band sanno spaziare dal rock, al blues, al folk con precisione e intensità, eseguendo soprattutto i brani dell’album “Different Pulses” ma rielaborandoli: con assoli strumentali o di voce delle coriste, con intro e ritornelli che si espandono nel tempo.

Asaf Avidan è totalmente a proprio agio e questo, forse, perchè con i The Mojos in Israele ha fatto per anni la gavetta che è veramente in grado di formare un musicista. E’ espressivo nel volto e nel corpo, con il suo particolare modo di gesticolare dove le mani sembrano disegnare davanti al volto le note. Parla con il pubblico raccontandoci le sue storie: una canzone nata quando aveva deciso di dividere un piccolo appartamento con una piccola ragazza, un’altro testo che rivendica l’impossibilità delle donne di far smettere ad un uomo di essere un leone; ci accompagna attraverso la performance invitandoci a battere le mani, a sfidare la forza di gravità saltando, ad immergerci nella tristezza della successiva canzone.

Forse non c’è niente di nuovo nella musica che propone per il momento, ma la capacità di muoversi avanti e indietro nel tempo, dagli anni ’50 al nuovo millennio, mantenendo una coerenza di mood rappresentata da una voce unica, è un’impresa a cui pochi possono aspirare. Questo è solo l’inizio, però, ora è il momento di far uscire un nuovo album.

Photography ©Marta Falcon all rights reserved

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