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Ludovico Einaudi Live @ Teatro degli Arcimboldi, Milano, 9/4/13

Ritrovarsi a teatro, ad ascoltare Einaudi. Per un attimo pensi se hai fatto la scelta giusta. Non c’è un cantante, non ci sono virtuosismi live, non c’è contatto con il pubblico. In fondo è musica da salotto, da cuffie, da “pensatoio”. Terribile errore.
Il Teatro è pieno. Attende in un’atmosfera raccolta l’arrivo del geniale pianista contemporaneo, figlio dell’editore e nipote del Presidente della Repubblica. La scena è semibuia. Al centro gli strumenti, tra cui spicca il piano a coda e la grancassa. Il pubblico è più giovane del previsto, rivelando la straordinaria capacità della musica di colpire nel profondo della mente, oltre la carta d’identità.

Entra Einaudi. Si siede al piano. Ci volta le spalle e inizia il viaggio. E il concerto è davvero un viaggio, verso una destinazione che ognuno del pubblico si sceglie liberamente. Ogni spettatore riempie di se stesso quel concentrato di emozioni che la musica sprigiona ad ogni brano eseguito.
È il pianoforte che guida sublime i dieci musicisti che lo affiancano. Laptop, archi, chitarra, basso, grancassa, percussioni e oggetti non identificati. La musica cresce, con la potenza di un rock di Bruce Springsteen o di una cavalcata di Wagner. Mai più di oggi si percepisce la differenza tra il proprio mondo privato e l’esecuzione travolgente di un live. Che alterna musiche intime a crescendo infiniti, struggenti, travolgenti fino a divenire inquietanti per l’anima e per il proprio equilibrio personale.
La musica di Einaudi è emozione pura, è un fiume di sentimenti di straordinaria potenza. Non è un caso che sia corteggiato da cinema e pubblicità: prendi un’immagine, aggiungi un Einaudi, e la scena si carica di significati, che puoi girare un po’ come vuoi tu. Certamente la sua musica aggiunge decine di aggettivi alla vista di un’immagine, e a volte lo fa con prepotenza.

Per chi, come me, ha la fortuna di avere nel dna gli anticorpi all’insicurezza, i sentieri selvaggi della musica dell’artista mi portano fin sopra alle nuvole, a guardare il mondo con ammirazione e occhi lucidi.
Gli applausi sono scroscianti. Einaudi esegue i brani uno collegato all’altro. Ogni tanto si ferma e viene coperto dal piacere del pubblico. Alterna viaggi orchestrali a prove al pianoforte, di maggiore intimità. Concede bis. Saluta il pubblico. Ringrazia e se ne va.
Un concerto che richiede davvero molta concentrazione e, mentre il corpo non suda, si affatica l’anima. Dopo due ore si esce stanchi, un po’ provati. Per chi non ha occhi, immaginazione, pensieri, il buio ha accompagnato dolcemente verso il sonno. Ma per chi ha trovato materiale vivo, il viaggio è stato sorprendente, inaspettato, rivelatorio. Lungo fino all’eterno.

Grazie


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