EU 013 genovese

Rotterdam 43 – The State of Europe

The State of Europe. Con tre grandi programmi cinematografici e tematici (EU-29, Grand Tour, My Own Private Europe) estremamente complessi ed interessanti, il Festival di Rotterdam ha offerto una piattaforma di riflessione sull’Europa e per la discussione sul suo futuro in attesa delle prossime elezioni. Probabilmente la sezione più interessante e stimolante del festival.

L’idea alla base di UE-29 è quello di creare uno stato ulteriore ai ventotto dell’Unione, in cui tutti si possano sentire a casa. Uno stato immaginario pieno di storie e situazioni che si riflettono in una programmazione estremamente variegata di film. Questo stato 29 non è un’unione politica o geografica, ma una metafora per le emozioni narrative e il dramma di sradicamento derivante dalla migrazione in tutta la sua diversità.

Problemi e sensibilità, di fenomeni sociali, politici e di attualità, nell’Europa che cambia. Non solo reportage e documentari, ma opere che traslano nell’indagare su un contesto più ampio, con un nuovo punto di vista, soprattutto legato alle migrazioni. Uno spazio di film in cui tutti i mondi di cui l’Europa è costruita si fondono in un flusso incessante; in particolare quelli che a malapena le appartengono.

Géographie Humaine, Claire Simon, 2013

Géographie Humaine, Claire Simon, 2013

Tra i film selezionati due italiani: EU 013 L’Ultima Frontiera (Alessio Genovese) il primo film documentario girato all’interno dei Centri di identificazione e di espulsione italiani, sessanta minuti di immagini inedite che mostrano i retroscena del controllo delle frontiere italiane e la vita quotidiana nei Cie; poi Profezia. L’Africa di Pasolini (Gianni Borgna, Enrico Menduni) che esplora la continua (e vana) ricerca dell’intellettuale verso la genuinità contadina e la forza rivoluzionaria che invano aveva cercato nel suo Friuli e poi nel sottoproletariato romano. Da segnare inoltre i due film di Claire Simon (Géographie Humaine e Gare du Nord) in cui la regista filma semplicemente la morfologia della stazione e il modo in cui questa cambia con il passaggio delle persone; stazione, come un grande animale che vive una vita propria, dove si mettono in scena ogni giorno l’amore, la perdita, l’attesa, la separazione, il disorientamento in una dimensione quasi soprannaturale. La stazione come questa sezione di film, un non luogo, come una sorta di caverna mitologica che contiene i personaggi e le loro storie, rivelando gradualmente le loro paure e i loro desideri.

Grand Tour invece ci ha portato in un viaggio cinematografico nel continente, che mostra la sua diversità, le tradizioni, il passato, presente e futuro; allo stesso tempo alla ricerca di cosa possa essere ora un cinema europeo. I film in questo programma possono essere considerati come un itinerario di viaggio, essi pongono domande (e cercano risposte) sull’Europa e il cinema europeo. Alcuni dei film in programma esaminano gli aspetti della Europa “nuova”, con la sua scomparsa di confini interni, la migrazione (e la conseguente paura degli stranieri). Altri si riferiscono alla nozione di crisi economico-finanziaria ed i problemi delle classi inferiori. Tuttavia, il cinema è una forma d’arte lenta e paziente, che in una certa misura lo protegge dall’essere influenzato dai temi del giorno e può anche avere un carattere visionario. Tra storia, psicologia, attualità, politica e filosofia.

La Jealousie, Philippe Garrell, 2013

La Jalousie, Philippe Garrell, 2013

Si sono potute (ri)vedere opere molto interessanti come quelle presentate a Locarno e Venezia. Dal Pardo di Albert Serra con in suo personalissimo Casanova (Story of My Death), al metalinguismo teorico di Corneliu Porumboiu (When Evening Falls on Bucharest or Metabolism); dal Leone d’Oro Gianfranco Rosi e il suo viaggio attorno alla capitale (Sacro GRA), alla splendida dedica alla Nouvelle Vague di Philippe Garrell (La Jalousie) fino al compromettente ultimo lavoro di Miguel Gomez (Redemption). Oltre a questi altri recuperi importanti in questo atlante filmico come il visionario El Futuro (Luis López Carrasco) e l’accademico Ida (Pawel Pawlikowski).

L’ultima sottosezione è My Own Private Europe, forse la più particolare. Film che cercano di catturare il concetto personale di “identità europea” attraverso punti di vista intimi e personali, evidenziando e portando alla ribalta i dettagli e le sfumature che costituiscono l’immagine dell’Europa di oggi. Un corpo di lavori (anche sperimentali) che presenta in modo implicito e immanente immagini di un’Europa vivente attraverso un percorso personale di tempi e spazi. Insieme, ci danno visione di un paesaggio culturale contemporaneo che rimane una terra incognita in cui l’esperienze di vita di registi che diventano protagonisti – reali od immaginari – emergono. Autori che non hanno paura dell’intimità e si espongono alla auto-esplorazione, che a sua volta rende la realtà che li circonda esposta e nuda; mettendo in discussione il modo in cui un’identità, tra cui quella europea, si costruisce oggi in un epoca di disintegrazione. Tra utopie collettive e singoli ideali ancora da definire.

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