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The Villainess

Il Revenge movie coreano che ha messo Cannes sottosopra.

Era il 1999 quando Shiri di Kang Je-gyu dimostra per primo come per la New Wave Coreana il cinema sia un martello più che uno specchio. Si tratta di un thriller mozzafiato costruito su pochi elementi: un’assassina, una nazione divisa tra nord e sud, una bomba pronta ad esplodere. Una forma d’intrattenimento compulsivo che ci scaraventa giù per la tana del Bian Coniglio. Come per Jan Lu Godard la storia del cinema è la storia di uomini che fotografano donne, sul finire degli anni 90 anche per i giovani cineasti coreani di genere la figura della donna è al centro della loro visione. Ne è un esempio My Wife is a Gangster (2001), una stilizzata spy story con protagonista la star Shin Eun-kyung, che mescola l’azione al melodramma e alla commedia ottenendo un risultato gustoso come lo è una zuppa che è stata ristretta troppo. Ancora pochi anni ed è il momento dell’uscita in sala di Old Boy (2003), A Bittersweet Life (2005) e The City of Violence (2006). Se il cinema d’azione del nuovo millennio non fosse già abbastanza ricco, questi film lo rendono più cupo e lirico aggiungendovi una nuova brutalità e toni da tragedia mai visti prima nel genere.

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Old Boy (Park Chan-wook, 2003) 

The Villainess (2017) di Jung ByungGil è l’ultimo aggiornamento della nobile tradizione coreana del Revenge movies. Un noir romantico cotto nel sangue che non è passato inosservato in un festival di cinema istituzionale come Cannes, dove è stato presentato fuori concorso nell’ultima edizione. Alla fine della proiezione, come solo avviene per le opere che fanno discutere, fischi e applausi. Il conflitto che divide gli spettatori è dello stesso segno di quello che infiamma l’animo di Sook-Hee (Kim Ok-vin), eroina della vicenda. Dopo aver commesso una strage per vendicare la morte della persona che ha amato da cui aspetta un bambino, viene rapita da una misteriosa organizzazione che la imprigiona in una struttura sotterranea. Ben presto scoprirà di essere una recluta in un centro di formazione di agenti governativi. Dopo anni di duro allenamento e dopo aver subito una chirurgia totale al volto, viene liberata. Insieme alla sua piccola figlia cercherà di costruirsi una vita normale, ma non è semplice seppellire il passato sotto cumoli di terra come si fa con una bara.

Villainess

The Villaines è in debito con numerose influenze cinematografiche internazionali, a partire dalla Female Exploitation che spopolò nel Giappone degli anni ’70 per opera della Nikkatsu Corporation, passando dal super estetizzato Cinéma Du Look francese, di cui il geniale Luc Besson ne è il più illustre rappresentante, e dal postmodernismo di Kill Bill di Quentin Tarantino fino ad arrivare alla scatenata e coreografica saga indonesiana di The Raid, ultima grande rifondazione del genere.

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The Raid 2 (Gareth Evans, 2014) 

Eppure riesce a mantenere un sua individualità, abbinando il cinema d’azione ai romanzi d’amore e ai drammi strappalacrime. Un’affascinante tempesta e il suo Dio del tuono è il regista Jung ByungGil che con maestria riesce ad farci accelerare il ritmo cardiaco. Ne è un chiaro esempio la lunga scena d’apertura: un piano sequenza in cui Sook-hee uccide quasi una 50ina di uomini, inizialmente girato in prima persona con la macchina da presa che improvvisamente si disaccoppia dal POV dell’assassina continuando a riprendere il tutto in terza persona. Una sequenza che più che stilizzate è onirica quasi magica come La lune à un mètre di Georges Méliès.

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Tolti i proiettile, le lame e le corse in moto quel che rimane è una storia (più lunga del necessario) che si ossessiona fin troppo alla profondità mentale ed emotiva del protagonista, tralasciando gli aspetti che riguardano il semplice racconto. Il risultato è un’eccessiva complessità narrativa che porta il film vicino allo spararsi in un piede. Tra ellissi temporali e richiami simbolici, la sceneggiatura sceglie di scavare nelle motivazioni di Sook-hee e nei suoi sentimenti generali, appesantendo un’esperienza che poteva essere ancora più viscerale. Pur essendo lontano dalla perfezione, The Villainess può essere identificato come uno dei film d’azione più eccitanti del decennio. Stile, forma e grazia.

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