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The Dressmaker – Jocelyn Moorhouse

Il secondo giorno del Torino Film Festival 2015 si apre con The Dressmaker, pellicola australiana diretta da Jocelyn Moorhouse, autrice di numerosi programmi televisivi, prima di realizzare nel 1991 il suo primo lungometraggio, Istantanee, il quale le valse la menzione speciale per la miglior opera prima al Festival di Cannes.

Tilly Dunnage (Kate Winslet) dopo aver lavorato per anni in esclusive case di moda in giro per il mondo (Londra, Milano, Parigi) torna a Dungatar, piccolo villaggio dell’Outback australiano, dove nacque e trascorse l’infanzia prima di essere allontanata in seguito ad un oscuro accadimento: fu accusata dell’omicidio di un coetaneo, figlio del sindaco, avvenuto venticinque anni prima.

La vendetta è palesemente il tema di fondo: Tilly ha rimosso il ricordo, le immagini d’infanzia sono vaghe, ma è ben chiaro che lei e la madre Molly (Judy Davis) sono sempre state disprezzate e forse incastrate dagli abitanti di Dungatar. Ritorna per ritrovare se stessa e ricucire il rapporto con la madre, ritrova i vecchi rancori e decide di combattere armata di una macchina da cucire Singer e di tutto il talento che la contraddistingue. Trova l’amore con il belloccio del villaggio (Liam Hemsworth) e tutto sembra virare verso un lieto fine. Ma il film si protrae, si allunga, cerca di approfondire il rapporto di Tilly con la morte saltando dal drammatico al grottesco.

L’introduzione del personaggio principale e alcuni dettagli visivi e musicali citano il western per poi virare invece su una commedia nera contraddistinta da cambi di registro a volte troppo bruschi: alcune sequenze richiamano la comicità della slapstick comedy, altre risultano quasi drammatiche forse confondendo. Il personaggio interpretato da Kate Winslet richiama le grandi dive del passato (non sarà un caso che venga citata a più riprese la Gloria Swanson di Viale del tramonto), confeziona abiti anche per le altre ragazze e stravolge gli equilibri di un piccolo paese australiano della metà degli anni Cinquanta.

Si fa fatica a inscrivere il film all’interno di un genere preciso, Jocelyn Moorhouse gioca, sperimenta, mescola, disinteressandosi molto spesso della verosimiglianza a favore di uno stile eccentrico, costruendo macchiette come il sergente Farret (Hugo Weaving), poliziotto-fashion addicted facilmente corrompibile con qualche metro di tessuto. Precisando che la narrazione soffre la (forse) troppa varietà e la lunghezza, possiamo parlare comunque di un film a tratti piacevole e divertente.

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