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Sto pensando di finirla qui

Tratto dall’omonimo romanzo dell’esordiente Iain Reid, Sto pensando di finirla qui è una di quelle storie dalle premesse semplici e dallo sviluppo rizomatico.

Si conoscono da poco Lucy (?) e Jake. Da abbastanza tempo però per pianificare il «proverbial next step», un weekend a conoscere i genitori di lui. L’ultima sceneggiatura (e regia) di quel talento indiscutibile che è Charlie Kaufman, Sto pensando di finirla qui (I’m Thinking of Ending Things), tratta dall’omonimo romanzo dell’esordiente Iain Reid, è di quelle storie dalle premesse semplici e dai risvolti multiformi. Ed è proprio la lunga –e talvolta leziosa- sequenza dialogica tra i due giovani, mentre l’auto solca una giornata cinerea, nevosa fin dal principio, che diventa anticamera di un moto trascendente. Lo sguardo assorto e, a tratti, sfuggente della ragazza, che trova il suo contrappunto nell’opacità di quello di Jesse Plemons, tradisce i dubbi attorno alla relazione della giovane proprio quando, parallelamente, i confini del sensibile iniziano a farsi sfumati. La neve, in perenne caduta, che contribuisce all’atmosfera sospesa, cede il passo alla casa dei genitori di Jake, luogo mentale prima che fisico con le sue ambiguità e i suoi misteri e una mistione di generi e registri. E sarà chiaramente un luogo a chiudere il cerchio e chiarire quello che, da dubbio latente, è diventato certezza.

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L’armamentario di Kaufman, tra superfici traslucide e logoramento della linearità temporale, funziona perché votato alla coerenza, nonostante le evidenti spinte centrifughe. Lo statuto dell’immagine, per quanto stressato, non viene mai negato in virtù di un fitto sistema di riferimenti e associazioni interno che diventano vere e proprie esche per lo spettatore più smaliziato. D’altronde i pensieri, incastonati a fatica in un rapporto di aspetto 4:3, diventano flusso magmatico, sovvertono le presunte gerarchie e rivendicando pari dignità, per cui anche «Even fake, crappy movie ideas want to live. Like, they grow in your brain, replacing real ideas». C’è poi un’ultima riflessione più ampia. Distribuito sul catalogo italiano di Netflix, a partire dal 4 settembre, l’ultima opera di Kaufman si presta ad una visione “slow”, distante da una certa offerta di contenuti ready-to-use che pare in crescita e alimentando così la fiammella del cinema autoriale anche dinnanzi ad un pubblico supposto generalista.

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