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Cronache dal lido #1 – Venezia 78

È stata la mano di Dio (Concorso)

Tra i titoli più attesi del concorso veneziano numero 78 c’è sicuramente il decimo lungometraggio diretto da Paolo Sorrentino, prodotto da Netflix. Un numero non trascurabile: se infatti per certi versi questo può essere considerato il più personale dei progetti finora realizzati dal regista napoletano, avvicinandolo nelle premesse al più volte omaggiato capolavoro felliniano 8 e ½, è proprio intorno ad un numero 10 che si snoda la ricchissima tessitura narrativa del film, quello di Diego Armando Maradona. Le vicende personali del giovane Fabietto (Filippo Scotti), ideale alter ego del regista, si intrecciano ad uno sguardo evocativo ed acuto su Napoli, sulla sua bellezza e sulle sue contraddizioni, in perfetto equilibrio tra ricerca espressiva ed esigenze narrative, restituendoci una sintesi riuscita, toccante e profonda, dei motivi più intimi del Sorrentino degli esordi con la piena padronanza registica acquisita nel corso degli anni. In uscita il 24 Novembre in sale selezionate e il 15 Dicembre su piattaforma. (Stefano Lorusso)

è stata la mano di Dio

Madres paralelas (Concorso)

Ad aprire il concorso di Venezia 78 sono state le madri parallele di Almodovar. L’adulta Janis (Penélope Cruz) e la giovanissima Ana (Milena Smit) si incontrano in ospedale, dove stanno per partorire. Entrambe sole, si confrontano sull’incipiente maternità da vivere senza l’appoggio e il calore di un compagno. Sullo sfondo di temi tipicamente “almodovariani” – la maternità e la potenza del femminile – e dei soliti interni nei quali si snodano relazioni, amori e desideri, si staglia la memoria della guerra civile, capitolo doloroso e ancora oggi spinoso per la storia spagnola. Janis è infatti alla ricerca del cadavere del bisnonno, vittima dei falangisti, sepolto in una fossa comune assieme ad altri familiari di altre donne, a loro volta figlie e adesso madri e nonne ormai invecchiate che ancora attendono di trovare e riconoscere i corpi per poterli piangere. Mano a mano che il film scorre, l’importanza di questo piano storico diventa sempre più stridente rispetto alla dimensione narrativa delle vite di Janis e Ana (una dimensione peraltro a tratti poco indagata nelle sfaccettature emotive e psicologiche, cosa strana per gli standard di Almodovar). La coniugazione, anzi l’abbraccio metaforico, cercato dal regista spagnolo tra l’origine della vita e la conservazione della memoria storica, risulta poco convincente, privo di forza e spessore. Il finale in questo senso è esplicativo: il film finisce col cercare più la suggestione che la verità. La sensazione è che una cornice storica così impegnativa abbia gravato in maniera negativa sull’economia della pellicola, penalizzandola eccessivamente. (Giulia Angonese)

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The Power of the Dog (Concorso)

Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons), fratelli, sono due ricchi allevatori nel remoto Montana degli anni ‘20. Quando il secondo, in età matura, decide di sposarsi con una vedova (Kirsten Dunst), formando una nuova famiglia insieme al figlio adolescente di lei, qualcosa in Phil sembra spezzarsi. Pulsioni represse, convenzioni sociali, oltre che un viscerale legame con la natura confliggono nella drammaturgia del film, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage, in cui ritornano molti dei tratti tipici della cineasta neozelandese. Sontuose la regia e la scenografia, ottime le interpretazioni, convincente a metà la sceneggiatura, non del tutto risolta in alcuni passaggi e nella caratterizzazione di alcuni personaggi. (Stefano Lorusso)

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