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Cronache dal lido #2 – Venezia 78

Il buco (Michelangelo Frammartino, Concorso)

Nel 1961 un gruppo di giovani speleologi piemontesi esplora l’Abisso del Bifurto nell’altopiano del Pollino, mappandone per la prima volta la morfologia carsica, spingendosi fino a quasi 700 metri di profondità. Simultanea a questo doppio movimento di discesa, dal Nord al Sud dello Stivale e fin nelle viscere della terra, è la costruzione, a Milano, del grattacielo più alto d’Europa, seguita a distanza dagli abitanti del paesino calabrese attraverso il “buco” di un televisore sistemato nella piazza del paese. Eccellente da un punto di vista tecnico e portato a termine dopo diversi anni di lavorazione grazie alla impresa luministica compiuta da un maestro della fotografia per il cinema come Renato Berta, ma meno ricco ed evocativo rispetto al precedente, splendido Le quattro volte (2010) del regista. (Stefano Lorusso)

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The Card Counter (Paul Schrader, Concorso)

Leitmotiv del cinema di Schrader sono i personaggi solitari e oppressi dal senso di colpa. In The Card Counter è la volta di William Tell (Oscar Isaac), giocatore di poker che, nell’attesa di sedersi al tavolo da gioco del casinò, ricopre di panni bianchi ogni mobile della stanza dove alloggia. Un’abitudine meticolosa che rivela il tormento del suo passato da militare coinvolto nelle torture di Abu Ghraib. Il film pare risentire della lunga esperienza di Schrader nel trattare storie di questo tipo, con schematismi nella sceneggiatura piuttosto prevedibili. C’è tuttavia un’intensità significativa, a tratti a tinte noir, figlia di quello che pare essere un avvertimento del regista: cancellare o rimuovere il passato è qualcosa che riguarda il corpo e la sua memoria. “Il corpo ricorda” dice Tell ed è lì che egli tornerà in un finale drammatico che apre riflessioni su molti temi politici attuali. (Giulia Angonese)

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Spencer (Pablo Larrain, Concorso)

Dopo Jackie e Ema, continua il confronto di Larraín con le figure femminili. In Spencer è il turno di Lady D (Kirsten Stewart), principessa icona degli anni ’80 e ’90: alla vigilia di Natale, Diana è attesa a Sandringham per passare le festività natalizie assieme alla famiglia reale. La sobria regia di Larraín si concentra in modo convergente sulle geometrie di spazio e di relazioni che circondano e ingabbiano la donna: dalle cucine dove partono le ricche portate per i pranzi, ai giardini costantemente controllati dalla sicurezza; dagli sguardi freddi della regina e di Carlo, all’affetto dei figli si arriva sempre alla profonda fragilità di Diana, alla sua bulimia, alla sua insofferenza per protocolli. Servendosi di una sceneggiatura intelligente, il regista cileno realizza un bel film, lineare, compatto, evocativo, cosa non semplice vista la mitologia artificiosa sedimentatasi da sempre attorno a Diana Spencer. (Giulia Angonese)

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