Il giorno tanto atteso è arrivato. On the road, Walter Salles. Ora che il film giunge finalmente agli occhi del mondo dalla platea ampia e rilucente della Croisette, si tratta di vedere se gli esegeti della generazione beatnik e gli spettatori della generazione globalizzata riusciranno a trovare un punto di contatto di fronte a un film che tenta l’impossibile. Descrivere quella fuga estatica, quel desiderio tragico di vita. Emerge man mano che il film procede un sentimento di ricerca di normalità, di speranza verso la riconciliazione. Alla fine, proprio come nella vita, chi vuole ripartire resta fermo, e chi vorrebbe trovare un po’ di stabilità è, nuovamente, senza motivo, sulla strada.
Non è facile lavorare a questo progetto, per il peso simbolico, non solo letterario e culturale che il libro di Kerouac rappresenta, ma anche per l’immaginario immediatamente cinematografico che incarna forse anche perché nessuno lo aveva mai portato sul grande schermo. Sembra quasi tornare sui suoi stessi passi Salles dopo aver portato in scena un immaginario forse ancora più gigantesco, quello di Che Guevara. Non è indubbiamente facile questa operazione, di messinscena fedele e quasi agiografica del capolavoro di Kerouac. Dopo l’ottimo risultato compiuto da Epstein e Friedman sul poema ginsberghiano Howl, Salles non rischia nulla e qui si limita ad una sorta di coerenza temporale con il romanzo. Proprio per questi motivi è un film che può piacere molto, che può emozionare chi sia avvicina all’epopea beat o semplicemente un normale spettatore, ma che si ferma qui.
Su questo tema consentitemi un piccola riflessione personale. Per me e per molti altri ragazzi (e non solo), On the road e tutto l’immaginario Beat hanno cambiato in qualche modo la vita o il modo di vedere le cose, sviscerando la dicotomia vis(su)ta in un’unica forza primordiale di energia ed estremo elan vital. Di tutto ciò nel film non se parla o almeno, non si percepisce affatto quell’anima che sta dietro al viaggio, l’impossibilità di farne a meno, la forza esplosiva della strada e di chi la abita. Chi ha vissuto quel tipo di esperienze sulla propria pelle o le ha assorbite attraverso le pagine distorte di quella letteratura, troverà l’opera di Salles vuota, senza fuoco dentro, senza respiri infiniti e senza deragliamenti sensoriali. Questo è forse l’unico difetto vero (e totale) del film, restituire quell’esperienza, così semplicemente com’è stata. Forse è veramente impossibile.