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Mary Shelley – Un amore immortale

Un biopic che scivola troppo spesso nel dramma romantico

Chi non ha mai sentito parlare di Frankenstein? È uno dei romanzi più famosi della letteratura, uno dei più letti e studiati nelle scuole, una storia che ha dato origine a moltissimi film, dalla trasposizione horror del 1931 di James Whale fino ad arrivare alla parodia di Frankenstein Jr. 1974 di Mel Brooks. Ma chi c’è dietro tutto questo, o meglio all’origine di un racconto così sconvolgente? Una donna, nata Mary Wollstonecraft Godwin, sposata Shelley. Il film della regista saudita Haifaa Al-Mansour prova a raccontare la nascita del mito Frankenstein e la vita di una scrittrice.

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Mary (Elle Fanning) è una giovane sensibile ma tenace, che ama leggere racconti di fantasmi e coltiva il sogno di scriverne uno lei stessa, avendo ereditato la passione per la scrittura da entrambi i genitori, l’antesignana del femminismo Mary Wollstonecraft e il filosofo William Godwin. Orfana di madre, Mary vive con il padre (Stephen Dillane), la matrigna (Joanne Froggatt) e la sorellastra (Bel Powley) a Londra. Quando però, dopo l’ennesima tensione con la matrigna, Mary viene spedita in Scozia, conosce l’affascinante poeta romantico Percy Bysshe Shelley (Douglas Booth) e i due si innamorano perdutamente.

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Mary Shelley – Un amore immortale, come segnala il sottotitolo italiano, si concentra appunto sulla storia d’amore fra Mary e Percy, fatta di passione e delusioni, gioia e miseria, in un tormentato rapporto fra due spiriti tanto affini quanto in conflitto. L’idea poteva risultare accattivante: un film romantico dalle tinte gotiche, con riferimenti alla letteratura inglese e alla biografia di una grande scrittrice. La resa su grande schermo, purtroppo però, delude le aspettative e quello che avrebbe potuto essere un interessante biopic diventa un romance melodrammatico che soffre di una certa lentezza ed eccessive stereotipizzazioni.

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A partire dal cast, si nota subito uno squilibrio fra i due personaggi principali: Elle Fanning, con la sua bellezza diafana e il suo viso magnetico, è tanto adatta per interpretare Mary Shelley quanto Douglas Booth risulta stonato nei panni di Percy Shelley. Goffo e impacciato, il ruolo del poeta romantico non si addice all’attore britannico, così come non convince l’interpretazione del Lord Byron di Tom Sturridge ed entrambi sembrano calati in un contesto a loro estraneo. Al contrario dei due attori maschili, Elle Fanning risulta perfettamente a suo agio nelle atmosfere di un’Inghilterra ottocentesca ed è sicuramente apprezzabile la scelta della giovane e talentuosa attrice americana come protagonista.

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Il film, che dura due ore, scorre piuttosto lento e senza forza, nonostante l’intenzione di raccontare un personaggio realmente esistito che di forza ne aveva da vendere. Mary Shelley – Un amore immortale da potenziale biopic sulla vita di una delle scrittrici più importanti della storia scivola verso il dramma romantico, forse anche per attirare un pubblico più giovane (in questa direzione sembra andare la scelta di Douglas Booth come protagonista maschile). Le parti più interessanti del film sono quelle che riguardano l’ispirazione artistica e la successiva creazione di Frankenstein e soprattutto le peripezie affrontate dall’autrice per vedere pubblicato il suo romanzo con il proprio nome scritto in copertina. Ed è quindi da riconoscere alla regista de La bicicletta verde (2012) il merito di aver portato all’attenzione una figura come quella di Mary Shelley e di aver raccontato cosa significasse essere una donna, aspirante scrittrice, in un mondo governato da uomini.

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