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Lo Zar non è morto – I Dieci

Mistero, suspense, colpi di scena e intrecci storici più o meno realistici fanno de Lo zar non è morto uno dei libri più particolari e discussi dell’intero Novecento. Già il sottotitolo – “Grande romanzo d’avventure” – dovrebbe farci intuire la natura di un’opera che è davvero un unicum nel suo genere, uno scritto corale nato per avvolgere in un alone di sospetto e dubbio uno degli episodi più suggestivi della storia: la truculenta uccisione dello zar Nicola II di Russia, della potente famiglia dei Romanov, nel 1918 durante l’eccidio di Ekaterinburg.

Lo zar non è morto, pubblicato nel lontano ’29, ha goduto di un istantaneo e formidabile successo, ma oggi è stato pressoché dimenticato nonostante l’indubbia qualità della sua prosa, dell’idea che l’ha portato alla luce, ma soprattutto dell’inventiva degli autori, che si celano dietro un altrettanto suggestivo pseudonimo, quello de I Dieci.

Ma torniamo alla trama. Questo romanzo, che appartiene, secondo la critica letteraria, al genere della fantapolitica, è basato sull’idea che nel 1931, in Cina, sia apparso all’improvviso un uomo che assomiglia in tutto e per tutto allo Zar Nicola II; una personalità misteriosa che ha perso, almeno apparentemente, l’uso della parola e di parte delle sue facoltà mentali. Gli ingredienti per un perfetto romanzo di avventura ci sono tutti: inseguimenti, colpi di scena, sparatorie, rapimenti, amori torbidi e passionali, vicende che si snodano e si intrecciano tra Pechino, Istanbul, Losanna, Parigi, Roma e perfino nelle più inaccessibili stanze del Vaticano.

Tuttavia, proprio gli autori forse sono la parte più originale dell’opera. Un fitto mistero, infatti, si intreccia intorno a loro: “I Dieci” prima si nascondono dietro uno pseudonimo pittoresco, ma poi, probabilmente tentati dal richiamo della fama e da un pizzico di narcisismo, si presentano in tutta la loro “violenza” futurista. Già, perché è proprio di un gruppo di letterati e artisti riuniti (almeno per questa occasione) sotto l’egida futurista che stiamo parlando, in primis il capostipite Tommaso Filippo Marinetti, e poi Antonio Beltramelli, Massimo Bontempelli, Lucio D’Ambra, Alessandro De Stefani, Fausto Maria Martini, Guido Milanesi, Alessandro Varaldo, Cesare Giulio Viola e Luciano Zuccoli.

Tranne forse Marinetti, davvero inconfondibile nella sua gioiosa e provocatoria irruenza, lo stile dei singoli autori non è facilmente riconoscibile, se non per un occhio particolarmente esperto. A tal proposito è d’obbligo ricordare una vera e propria chicca dell’epoca, allegata all’edizione originale dell’opera (ma che potete trovare anche in edizioni più recenti quale quella di Sironi Editore del 2005): stiamo parlando del concorso a premi promosso dagli stessi autori, con tanto di regolamento e montepremi, in cui si invitava i lettori a indovinare la paternità dei vari capitoli del libro. In palio premi in denaro (da duecento a mille lire) e copie de Lo Zar non è morto stampate su carta speciale, nonché autografate dai Dieci in persona.

Trovata pubblicitaria per vendere più copie possibili o autentico slancio di genio futurista che sia, l’opera è sorprendente anche sotto questo punto di vista, ed è imprescindibile dal periodo storico all’interno del quale si inserisce: il Fascismo, ma quello delle origini, quello che conservava probabilmente ancora qualche briciolo di ideale propositivo per l’Italia e gli italiani. Tempi che furono, potremmo dire, tempi fatti di patriottismo esasperato, di progresso tecnologico, di ideologie dispotiche, di equilibri precari e di vicende che vanno ben oltre l’immaginario collettivo.

Il significato più recondito di un’opera di questo genere che, all’apparenza, può sembrare eccessivamente romanzesca, a tratti quasi frivola nel suo essere avventurosa fino ai limiti del possibile, si palesa una volta terminata la lettura: a emergere è un legame profondo tra senso dell’avventura e interventismo patriottico, tra storia (inventata) e storia (appresa). Insomma, quando ci avviciniamo a Lo Zar non è morto, non prendiamolo come il classico libro d’avventura ma come l’affresco di un’epoca, uno spaccato storico da riscoprire pagina dopo pagina.

Grazie


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