Le Sorelle Macaluso – Emma Dante

Le sorelle Macaluso – Emma Dante

Fortissimo, d’impatto, che penetra nelle ossa: Le sorelle Macaluso è lo spettacolo di Emma Dante, regista palermitana che firma, altresì, testo, scene e costumi.

Sipario aperto, quasi buio totale se non fosse per quel fascio di luce, disegnato da Cristian Zucaro e proiettato sui cinque scudi e sulle cinque spade posti sul proscenio che ricordano le armature dei pupi siciliani, come a voler dire: “Io ci sono un’altra volta, per il decimo anno e con me c’è anche la mia terra, amata e disgraziata.”

«Tutto si ispira al racconto che mi fece un amico – spiega Dante – sua nonna, nel delirio della malattia, una notte chiamò la figlia urlando. La figlia corse al suo letto e la madre le chiese: ‘In definitiva io sugnu viva o morta?’ La figlia rispose: ‘Viva! Sei viva mamma!’ E la madre beffarda rispose: ‘See viva! Avi ca sugnu morta e ‘un mi dicìti niente p’un fàrimi scantàri’ (‘sì, viva! Io sono morta da un pezzo e voi non me lo dite per non spaventarmi’).»

Una donna dal volto emaciato, una danza elegante e flessuosa, un corpo che volteggia. Una, lei, Maria in un solitario silenzio che arriva da dentro e si trasforma in muto grido corale, quando la stessa si mescola tra le sue sorelle vestite di nero, che irrompono sulla scena a suon di marcia funebre dalla quale spicca un crocefisso. Il rito è compiuto (o forse no): le sorelle Macaluso sono pronte per dire addio a una di loro.

L’ultimo lavoro di Emma Dante, andato in scena al Teatro Palladium di Roma dal 29 gennaio al 9 febbraio, ha in sé le suggestioni della Trilogia della famiglia (mPalermu, Carnezzeria, Vita mia): difficile, dunque, non entrare nel vortice delle emozioni, le stesse che fanno vibrare i sensi, le stesse che creano un nodo allo stomaco pure quando il dialetto siciliano potrebbe sembrare incomprensibile per chi siciliano non lo è. Sul palcoscenico non ci sono solamente i corpi e le voci degli attori. Ci sono i gesti, le movenze, le facce, gli occhi; la vera comprensione, aldilà dell’idioma, sta lì: sulla linea di confine tra la vita e la morte, tra il riso e il pianto, tra lo stupore di chi vede per la prima volta il mare e il dolore di chi, nello stesso mare, annega le speranze perché un’altra sorella, Antonella, ha toccato gli abissi, quelli più profondi e dai quali solo lo spirito, forse, potrà ascendere.

Dal quel momento in poi, c’è solo spazio per affrontare il viaggio dei ricordi, dei sogni: quelli di un nipote cresciuto con l’ambizione di diventare calciatore, venuto a mancare in giovane età; i sogni di un padre stanco, affannato, che si ricongiunge con la moglie, e madre delle sette sorelle, lasciandosi andare alle passioni, in un ballo infinito, senza tempo; quello di Maria, la più grande delle sorelle, che sognava di diventare una ballerina, che chiude la scena danzando, regalando al pubblico un momento di sofisticata bellezza, spogliandosi altresì di tutte le responsabilità affidatele in vita, lasciando agli astanti l’anima, prima che ritorni il buio.

 

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