Operetta Burlesca – Emma Dante
La realtà è un’immagine difficile da cogliere: sfugge, si maschera, si rivolta, e ci lascia ogni volta con il pensiero soltanto di ciò che avrebbe potuto essere, di come l’avremmo desiderata, ma mai di ciò che realmente era. D’altronde non c’è un modo giusto e uno sbagliato di guardare, esiste solo la volontà di farlo, di accogliere la realtà qualunque essa sia e comunque si presenti ai nostri occhi. Con Operetta Burlesca, Emma Dante sembra proprio voler agire in questa direzione: uno spettacolo che non mostra una realtà ma schiude uno sguardo.
Pietro (Carmine Maringola) vive in una periferia campana, piccolo grande universo di calda umanità e impietosa marginalizzazione, in cui la sua fragile identità sfaccettata si scontra con il muro della tradizione, del conformismo, dell’ottusità, o – come direbbero i suoi genitori (entrambi interpretati da Francesco Guida) – della “normalità”. Egli non trova il coraggio per lo slancio e cresce alimentando segretamente la sua sessualità, in una camera piena di scarpe colorate, vestiti sgargianti, collane preziose, un rifugio nascosto al mondo che nei suoi luccichii di strass e gioielli pur vorrebbe esporsi oltre la soglia e splendere di fronte a tutti. Ma è un sogno destinato a tramontare, perché Pietro non sa trovare in sé stesso la forza per evadere, tenta di aggrapparsi al mondo per sorreggere il proprio dissidio interiore, ma quel mondo, più misero di lui, non può che rompergli il passo incerto e crollargli addosso.
Celebre per la sua grande potenza drammatica, stavolta Emma Dante sembra voler rarefare l’emozione in un affresco dalla penetrante precisione fotografica: anche là dove il pathos accende il protagonista di rivolta o disperazione, la regista siciliana ce ne restituisce un ritratto tutt’altro che enfatico, anzi, un’immagine immediatamente tragicomica in cui l’accentuazione drammatica viene spostata sul registro formale. Un rinvio dell’emozione che parrebbe suggerire un passo indietro rispetto a qualunque denuncia o posizionamento ideologico.
Ecco allora che si impone nel ritmo scenico la circolarità della ripetizione, attraverso cui lo sguardo dello spettatore può cogliere dimensioni psicologiche senza essere costretto alla compassione. In una esplicita eco di inciampi (di bauschana memoria) – la “rappresent-azione” è lasciata alla performatività narrativa e fisica di Viola Carinci e Roberto Galbo, che con i loro corpi proiettano in scena l’interiorità del protagonista – osserviamo, dunque, innanzitutto, il girotondo dei fragili, di quelle realtà piccole e forse insignificanti o ridicole che pur avrebbero lo stesso diritto ad essere accolte negli sguardi quotidiani.
Una volta usciti dalla sala, però, la splendida narrazione formale di Operetta Burlesca sembra faticare a varcare le porte del teatro: non ci insegue, non rimane, quasi che quell’impeccabile fotografia non riuscisse a sovrapporsi alla realtà che ci attende fuori. E d’improvviso la sensazione che ancora una volta la realtà si sia sottratta alla presa.
Ascolto consigliato
Teatro Eliseo, Roma – 19 novembre 2014