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La foresta dei sogni – Gus Van Sant

Gus Van Sant si è sempre mostrato, da oltre venticinque anni come l’autore simbolo di un certo cinema indipendente, e forse ne è anche divenuto il maestro. Nei suoi tanti passaggi a Cannes ha avuto anche vari riconoscimenti, ed anche per questo era lecito aspettarsi qualcosa di più da The Sea of Trees. Arthur (Matthew McConaughey) arriva in un aeroporto del Giappone, senza apparente motivo e nemmeno con il biglietto per il ritorno. Entra nelle foresta di Aokigahara (conosciuta come la foresta dei suicidi) si siede su una roccia con acqua, pillole ed un intenzione più che palese. Quando incomincia il suo rituale, giunge Takumi (Ken Watanabe) che si è perso nella foresta per due giorni, incapace di trovare la strada.

Entrambi gli uomini sono persi, in tutti sensi, e così i flashback iniziano. Forse si intuiscono i motivi di quel viaggio di Arthur, i problemi con la moglie, il lavoro sempre più complesso ed un identità sempre meno definita. Quando la storia torna al presente il film si sfalda definitivamente. Se prima Van Sant ha cercato di mostrare liricamente il viaggio di Arthur a Aokigahara grazie a immagimi funzionali e poche parole, quando si trova a gestire la coppia di uomini persi tutto crolla. Da una caverna inondata durante un temporale fino alla presunta rivelazione attorno a un fuoco, momento che dovrebbe essere catartico e invece si dissolve nel nulla.

Prova la recitazione (soprattutto quella di McConaughey) a salvare in parte il film, ma è impossibile reggere una sceneggiatura basata su un vuoto mai così palese e raffazzonata al limite di un simbolismo casuale quanto inutile. Un peccato in fondo, perché di questo film non se ne sente proprio il bisogno, ed è difficile persino trovare i sinceri motivi perché Van Sant sia tornato dietro la macchina da presa, dopo l’avventura in parte riuscita con Matt Damon. In attesa di un riscatto, lo lasciamo così nella sua foresta di dubbi che paiono quasi essere autobiografici, sul ruolo di un autore che pareva aver aperto strade che oramai non riesce più a ripercorrere.

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