jack smith normal love

Beyond the Rented World

L'omaggio della Berlinale a Jack Smith, leggenda dell'Avantgarde Cinema

Un’altra bellissima traccia del Forum di quest’ultima Berlinale è stato l’omaggio a Jack Smith. Un programma mai visto di recente restauro e presentato in due programmi speciali (al Hau Hebel Am Ufer e alla Berlinische Galerie) con la presenza del restauratore (e compagno di Smith) Jerry Tartaglia, John Zorn, Ken e Flo Jacobs. Spezzoni di film d’avanguardia visivamente stravaganti e allucinati di una leggenda dell’Avantgarde Cinema, compresi frammenti della sua nota riduzione dell’Amleto (Hamlet in the Rented World) e l’invisibile In the grip of the Lobster. Scarti di immagini (r)esistenti tra l’irriverenza divertita di piaceri, performance, maschere, gioco, citazioni, amori, esotico kitsch, cineserie e fredde luci al neon nella notte. Un guizzo di libertà, forse oggi impensabile. «Guardare un film di Jack Smith è come essere alla fine di una festa, alla presenza dell’ultimo ospite che si rifiuta di tornare a casa» (Jerry Tartaglia).

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Jack Smith (1932-1989) fu uno dei maghi dell’avanguardia americana (per alcuni degli altri grandi come Kuchar e Waters, forse il più originale) coi suoi mondi travestiti e transgender pieni di colori e fantasmagorie, strass e foreste di cannabis, marinaretti e sirene. Un caleidoscopio sensuale di mondi inventati nella grana della pellicola. A partire dai primi anni Settanta, i film di Smith sono stati “incorporati” direttamente nelle sue live performance con (de)costruzioni continue attraverso diapositive e musica. Un riempire di un nuovo significato l’atto proiezione, tra performance e installazione eternamente ri-editata sul posto. Nell’attimo in cui venivano proiettate le bobine dei film venivano inframmezzate con fotogrammi originali e altre stampe trattate, utilizzando un metodo ingegnoso di mascherare le giunte sul nastro. Questo continuo cambiamento dell’atto di (far) vedere, spostamento e riposizionamento dell’immagine sulla pellicola di celluloide, con diapositive, vinili e l’azione dal vivo mostra in una maniera assolutamente originale e straordinaria che l’immagine stessa è in un continuo stato di flusso e che ogni film non è mai finito perché sempre diverso a ogni ogni nostra osservazione. Questo è forse il motivo per cui lavori di Smith sono oggi ancora così forti e vivi.

Il processo di iniziazione, le incertezze sul suo funzionamento, i dubbi, le paure e la complessità della struttura dell’opera di Smith si possono intendere come un’allegoria della scoperta del mondo e dell’immaginario di un’artista estremamente articolato, ma tanto magico e incommensurabile da poter ricevere come tributo una strana forma di “culto”. Gli aspetti formali dell’opera (la setta, la lezione teorico-pratica, il mito atlantideo, la parola magica, il rifugio nel mondo delle idee, la trascendenza) reinterpretano forme e procedure di alcuni gruppi esoterici moderni. Tali gruppi presentano inspiegabilmente misteriose ma straordinarie analogie con l’immaginario visivo e filosofico di Jack Smith.

Il suo cinema non fa altro che ricostruire l’atto irripetibile scaturito da una performance, in cui tutti i personaggi, le storie e i miti veri e propri costruiti dall’artista, sono ricombinati fra loro. Così, seguendo alcune tradizioni filosofiche e magiche che credono nell’Esistenza del Mondo delle Idee prima ancora di quello Materiale (e nella meravigliosa possibilità di esplorarlo), allo spettatore viene trasmessa una forma di sapere alternativo, una versione antagonista della Storia dell’Arte Contemporanea. Una visione sempre oscillante tra il primitivo e il definitivo, capace di distruggere (se lo si desidera), tanto i sistemi gerarchici unificati della dialettica, tanto la tautologia semplicistica del mondo visibile; per poi eventualmente decidere che posizione assumere nella vita.

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