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Il bordo vertiginoso delle cose – Gianrico Carofiglio

Il bordo vertiginoso delle cose (Rizzoli Vintage, 2013), un titolo accattivante tratto da un verso di Robert Browning, rappresenta quell’equilibrio molto instabile che noi, uomini fragili preda di ansie e speranze, cerchiamo affannosamente quando facciamo i conti con noi stessi e con il nostro passato, tentando di progettare il futuro.

Può avvenire volontariamente, oppure casualmente, quando si viene catapultati, attraverso i ricordi, in un passato che, avvolto nell’ovatta ingannevole dell’adolescenza, si pensava superato.
Capita anche a Enrico Vallesi: la sua ricerca del passato, con una sfumatura noir sempre presente in Gianrico Carofiglio, diventa una sorta di resa dei conti non prevista e quindi tanto violenta quanto necessaria, in cui vengono coinvolti affetti e passioni adolescenziali: la famiglia, gli amici, la scuola, quella tipica degli anni Settanta, fremente e inquieta, e soprattutto quel pezzo di sé stesso che da un tempo lontano e inarrivabile ci scruta con aria di rimprovero per le tante aspettative disattese, i sogni spezzati e le occasioni sprecate.

Prove per la seconda serata del Festival delle Letterature

Il tema del ritorno ai luoghi dell’adolescenza come strumento per comprendere chi si è diventati, non deve tuttavia far pensare al solito, prevedibile, romanzo di formazione.
Dietro la storia del protagonista, si cela il dramma dell’uomo contemporaneo, travolto dalla vita e dagli eventi. Vallesi ha scritto un solo libro e da allora è vittima di un perenne blocco creativo che l’ha portato ad accettare un grottesco patto col proprio editore: stilare autobiografie per conto terzi, trincerandosi dietro esistenze altrui.

Ci troviamo di fronte a un’opera che, secondo l’intento dello stesso Carofiglio, si serve dell’etichetta di genere come protesto per raccontare altro.
Non a caso, la componente giallistica è presente in minima parte rispetto ai precedenti romanzi dello scrittore e funzionale a mettere in moto la vicenda.
Fornisce dunque l’occasione per indagare la psicologia del protagonista e, più in generale, dell’uomo moderno che, privo di certezze e futuro, può solo guardarsi indietro con in bocca il gusto amaro delle occasioni mancate.

Il racconto intimista e psicologico trascende così i suoi confini, diventando specchio delle disillusioni di un’intera generazione.
Carofiglio racconta, con una scrittura meditata e intrigante, con l’uso inconsueto dell’apostrofe alla seconda persona singolare che scava in profondità, le storie, inevitabilmente incrociate, del giovane Enrico, in cui esplodono le passioni, anche violente, della politica e dell’amore adolescenziale, e del maturo scrittore che è diventato disilluso, piegato dal fallimento e travolto dalle parole che non riesce più a dominare e a controllare.

Proprio le parole sono le grandi protagoniste di questo romanzo: quelle lette e quelle scritte in interminabili pomeriggi dal giovane Enrico sulla sua “Lettera 22”, quelle assorbite quasi in estasi dalla bocca della giovane e attraente supplente di Filosofia e quelle non dette, dimenticate e inghiottite dal buco nero della realtà, con le sue leggi irrimediabili e definitive.

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