Otello, alzati e cammina – Gaetano Ventriglia

Otello, alzati e cammina

O la povertà virtuosa di Gaetano Ventriglia

Jago può tutto. L’infido alfiere che scatenerà la furiosa gelosia di Otello è il Male che si fa linguaggio, forse il più grande attore, drammaturgo e regista della storia. Jago può infatti cambiare le parole: se c’è una ciotola di ricotta, lui può dire che non è ricotta. Se c’è una verità, Jago la nega, come se fosse un quadro di Magritte. Jago è solo uno dei personaggi abitati da Gaetano Ventriglia in Otello, alzati e cammina. Non un Otello classico, né uno contemporaneo, forse entrambe le cose attraversate dalla sensibilità di un attore brillante, la cui verità scenica riesce a travalicare l’aderenza fisica o emotiva perché “l’uomo” e “l’attore” fanno parte di un connubio struggente e inestricabile.

Gaetano Ventriglia entra sulla scena vuota delle Carrozzerie n.o.t e chiama la luce, il buio e “una musica consona”, con semplicità, perché niente sarà nascosto nel suo teatro. Con quella fisionomia scavata in un capotto troppo grande per lui, Ventriglia sembra un povero diavolo uscito da un racconto di Gogol’, o forse un guitto di provincia lasciato a girare nelle piazze a recitare da solo tutti i personaggi di un dramma, come Eugenio Allegri in Edipus. Ed è proprio questo che farà Ventriglia: con variazioni impercettibili dei gesti e della voce, calibrando lo spazio e il ritmo in modo impeccabile, uscirà ed entrerà abilmente dalla storia di Otello: sarà allora l’ingenuità di Desdemona, il buon senso di Emilia, la meschinità di Roderigo, il male di Jago; ma quelle che sembrano rappresentazioni di piccole allegorie dell’animo umano troveranno in Otello la sintesi più compiuta e introspettiva. Ventriglia lo immagina in solitudine, nel buio della spiaggia isolata di Cipro — vittima degli eventi, malgrado tutto —, a fantasticare su una navicella spaziale che lo porti via in un futuro čechoviano in cui si saprà la causa di tutti i mali.

 

Ecco però che le parole di Otello verranno sporcate da un esilarante accento foggiano, o interpolate da riflessioni meta-teatrali, o ancora da tirate personali e giocose, in un altalenarsi tra alto e basso, fra la tragedia del Moro e quella dei nostri ‘vu cumprà’ sula spiaggia, fra il blues e Ramazzotti, fra dramma e ironia. Attraverso Shakespeare, Ventriglia rende conto così della continua oscillazione della vita e delle sue sfumature, vedendo nell’Otello la rappresentazione dell’umanità in tutte le sue piccolezze e grandi dilemmi.

Un teatro povero, artigianale, che scarnifica tutto il superfluo per tornare alla centralità dell’artista. Otello, Alzati e cammina è un omaggio appassionato e insieme dichiarazione d’amore all’arte attoriale. Bisogna fare molta attenzione, infatti, al messaggio di Ventriglia, che è per prima cosa politico. Prima di parlare di Otello, l’attore sta mostrando una modalità virtuosa di fare teatro che ricorda un po’ quella di un’altra compagnia italiana: la coppia Carullo-Minasi. Come loro, Ventriglia sta raccontando la miseria del genere umano e, soprattutto, la miseria del teatro. Il messaggio è chiaro: il teatro è povero, il teatro è lasciato isolato come Otello sull’isola di Cipro, bisogna arrangiarsi. Ma è proprio da qui che bisogna ripartire, perché la povertà di mezzi non influirà mai sulla ricchezza di talento.

Letture consigliate:
• Edipus – Leo Muscato | Giovanni Testori, di Nicola Delnero
• Due passi sono – Carullo, Minasi, di Giulio Sonno
• T/empio, critica della ragion giusta – Carullo, Minasi, di Giulio Sonno
• Il teatro e la sua (im)moralità: il ritorno di Carullo/Minasi nel segno di Leopardi, di Giulio Sonno

Ascolto consigliato

Carrozzerie_n.o.t, Roma – 6 maggio 2016

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