fratelli unici

Fratelli unici – Alessio Maria Federici

A quanto pare la proprietà commutativa si può applicare anche a certe commedie italiane degli ultimi tempi: cambiate gli attori, i registi, le storie, ma il risultato non muta. Una brodaglia di banalità, gag prevedibili, attori belli ma poco espressivi, situazioni sospese a metà e dinamiche familiari già viste e riviste.

Pietro (Raoul Bova) e Francesco (Luca Argentero) sono due fratelli dai trascorsi non facili. Pietro è un chirurgo di successo e poco incline a trascorrere del tempo con l’ormai ex-moglie (Carolina Crescentini) e la piccola figlia (Eleonora Gaggero), Francesco invece si barcamena tra un precario lavoro da stuntman e la sua vita da donnaiolo incallito. Insomma due vite agli antipodi, costrette a congiungersi quando Pietro perderà la memoria (ma guarda un po’) a causa di un incidente stradale e Francesco si prenderà cura del fratello. Questa convivenza obbligata contribuirà ad un “miracoloso” avvicinamento tra i due fratelli.

Fratelli Unici è un inanellamento di episodi da tipica commedia italiana degli ultimi anni, a partire da una sceneggiatura debole e poco convincente e dalla scontata scelta degli attori che si devono confrontare con personaggi con lo “spessore morale di uno scolapasta”. Argentero interpreta un trentenne spiantato che le solite “comedy made in italy” relegano in loft da artisti bohemien, Raoul Bova viene tartassato di primi piani che sostiene con faccette da cucciolo in cerca di dimora, la Crescentini sembra sia destinata ad interpretare per sempre donne tradite e dal passato burrascoso. Per non parlare della giovane Eleonora Gaggero che interpreta la solita quindicenne dalla mente brillante e dalla parlantina scioltissima, che alla fine tenterà anche di far rimettere insieme i suoi genitori (Crescentini e Bova), manco fosse una delle sorelle Olsen o Lindsay Lohan. Inoltre che si pretenda di prendere sul serio ancora nel 2014 frasi trite e ritrite come “Abbiamo perso la poesia”, “L’amore è la morte del sesso” o il capolavoro “Piangi? – No, sono allergica al Natale”.

Nonostante qualche inquadratura innovativa, l’alchimia tra Bova e Argentero, il bel viso stropicciato di quest’ultimo, i battibecchi amorosi tra Francesco e la vicina di casa (Miriam Leone) e qualche battuta vincente al posto giusto, il film non decolla, anzi, resta ancorato in quella sicura zona grigia (tutta italiana) in cui il rischio, il sano guizzo creativo e la novità non vengono premiati ma si tramutano solo in ostacolo per la realizzazione di “opere stanche” già in partenza. La speranza è che questo genere (ultimamente sottovalutato e bistrattato) non prenda questa “strada a senso unico” della prevedibilità, ma riesca a trovare la forza di rialzarsi partendo da chi ha le idee. Che di questi tempi di “penuria creativa” sono essenziali.

Grazie


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