ex machina alicia vikander

Ex machina – Alex Garland

“Vorrei una discoteca labirinto.
Bianca senza luci colorate.
Grande un centinaio di chilometri.
Dalla quale non si possa uscire”

Così cantavano, in una canzone che ebbe un'eco pazzesco nell'Italietta della seconda metà degli anni Novanta, i Bluvertigo e i Subsonica. Proprio quest'ultimi avevano appena prodotto il loro secondo album, Microchip Emozionale, che li aveva portati alla ribalta della scena nazionale. Una band di giovani ragazzi di Torino, della barriera torinese, che, tramite una strumentazione considerata futuribile allora (tastieroni, effetti ed effettacci alla voce e drum machine), inneggiavano ad una tecnologia “più umana”, nel nome, giustappunto, di un “microchip emozionale”.

È un po' quello, mutatis mutandis, che viene concepito nel film d'esordio di Alex Garland (sceneggiatore di 28 giorni dopo), Ex machina. La storia ricorda, almeno all'inizio, un racconto ottocentesco: un milionario ipersalutista e appassionato di tecnologia (applicata all'essere umano, leggasi il microchip emozionale) si rinchiude in una mega villa perfettamente mimetizzata all'interno della natura (la discoteca labirinto, dotata di ogni confort ma dalla quale non si può uscire) per sperimentare o, o per meglio dire, per tentare di farsi un dio creatore. Nella pallida figura di Caleb, interpretato da Domhnall Gleeson si assommano le caratteristiche di un certo uomo contemporaneo: molto solo, eternamente ingabbiato tra le maglie della tecnologia e che non ha praticamente contatti con altri esseri umani se non tramite il diaframma di uno schermo o di un dispositivo.

Nathan (Oscar Isaac), il milionario attento alla forma fisica e alla propria salute, incarna invece, in una veste un poco ammodernata, la classica figura dello “scienziato che si crede più potente di Dio”. Per questo il barbutissimo padrone di casa ha inventato il progetto “Ava”: ovvero una tecnologia mimetica dell'essere umano, una serie di donne robotiche, sempre più potenti e avanzate, chiamate Ava 1, Ava 2, Ava 3 etc. Caleb fa via via conoscenza di queste strane creature, rimanendone, quasi ossessionato. Soprattutto “la Ava” interpretata da Alicia Vikander ha una carica erotica ed emozionale per lui smisurata. È anche l’ultimo capitolo del progetto: il prototipo più potente, meglio realizzato e più senziente.

Anche se il film si occupa di tematiche legate alle neuroscienze già sondate ampiamente dai grandi classici del genere fantascientifico (soprattutto nell'Hal 9000 di 2001: Odissea nello spazio), grazie anche all'atmosfera asettica e claustrofobica generata dalle musiche di Geoff Barrow dei Portishead, Ex machina ha una grande forza di impatto. Infatti, mano mano che la vicenda diviene sempre più morbosa, alla fantascienza si cede il passo alla favola e più precisamente a Barbablù di Charles Perrault. La casa si popola di “spose di Barbablù”, dove gli antichi “progetti” si assommano a quelli nuovi, in una sorta di “galleria del tempo e delle spose perdute”.

Garland in questo film composto da soli dieci attori (dove svetta per bellezza ed intensità espressiva Sonoya Mizuno) non ci descrive “la deriva disumana dell'umanità” bensì sposta completamente il suo raggio di analisi. Non è un “Her al negativo” bensì una storia in cui si racconta come già la tecnologia ci domini e soggioghi: Caleb non è stato scelto per le sue doti intellettive, ma per le sue ricerche sui motori di ricerca. Noi esseri umani non siamo microchip emozionali: ma semplici dati per il grande computer della Storia. Che si muove sulle lunghe gambe di una donna che proiettano un’ombra perfettamente uguale a quella di ogni essere umano.

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