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Caccia alle donne – James Ellroy

È uscito da poco in edizione italiana, a cura di Bompiani, l’ultimo libro di James Ellroy, l’indiscusso maestro del noir americano, che ha da poco completato con Il sangue è randagio una monumentale trilogia sulla storia dell’America degli anni ’60 vista dal punto di vista della melma.

James Ellroy ha vissuto la sua infanzia losangelina in un romanzo noir alla Chandler, o meglio, alla Ellroy, e in questo libro ci riporta là dove tutto è cominciato, al 1958, quando in una squallida periferia angelina viene ritrovato il cadavere di Geneva Hilliker: donna quarantenne, il cui figlio decenne Lee Earle Ellroy detto James ne aveva da poco invocato la morte. Lo scrittore aveva già parlato del trauma chiave della sua vita mettendo in scena la sua ricerca, fuori tempo massimo, della verità sulla morte della madre in I miei luoghi oscuri; cuore di questo libro è invece questa maledizione (The Hilliker’s Curse è il titolo originale) lanciata dal bambino e la sua influenza devastante sull’adulto che diventerà.

Caccia alle donne è sì un libro autobiografico ma sarà una delusione per chi, grazie al pessimo titolo italiano, si aspetta un ritratto dell’artista dalle lenzuola (magari sulla falsariga di Donne di quell’altro figlio prediletto della polvere di LA che è Charles Bukowski); siamo invece pressochè totalmente all’interno della testa dello scrittore. Espressi con il suo consueto stile arso e scarnificato troviamo tutti i fantasmi (quelle donne intraviste o solo immaginate e pure così presenti e vive), le ossessioni, le follie di un uomo marchiato a fuoco da una donna e che ha speso una vita intera a ritrovarla, a evocarla per finalmente esorcizzarne la carica distruttiva, nelle donne che ha incontrato nella sua vita.

È la storia di un esorcismo e la messa in scena di un ego disturbante perchè Ellroy non è mai stato un tipo facile: arrogante, megalomane, rissoso, asociale, ossessionato, tossico senza speranza e poi pulito senza speranza, curiosamente religioso, destrorso quasi in odor di fascismo, guardone sessuomane fin dalla più tenera età («perfino Freud parla di un periodo di latenza», un lampo alleniano evocato da questa lettura). Nella spettacolare rappresentazione dell’egotismo di Ellroy c’è poco spazio per altro: le tante donne sono quasi sempre funzioni, per quanto omaggiate, messe sul piedistallo, restano ombre evocate in una stanza buia da un uomo troppo solo con se stesso e con Beethoven; e i romanzi non ci sono tanto quanto forse vorrebbero i fan. Quello che è espresso qui (mirabilmente nella citazione che ho messo in epigrafe) è lo spirito guida, la cosa di gran lunga più interessante, dell’arte e della vita (così diverse e così uguali) di Ellroy.

Non è decisamente il libro giusto per avvicinarsi al mondo di quello che è uno dei migliori scrittori americani viventi e forse l’autore di bestseller di più alto livello al mondo: leggetevi prima American Tabloid o I miei luoghi oscuri.

Grazie


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