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Atomica bionda – David Leitch

Difficile crearsi un’aspettativa da un film intitolato Atomica bionda (Atomic Blonde in originale, per una volta non banalizzato o reso simile a qualcos’altro): sin dalle prime sequenze ci si trova davanti ad una spy story di impianto moderno e brioso, dall’andamento più spedito dei film di James Bond e assimilabile a titoli come il recente Kingsman: Secret Service. La bionda è Lorraine Broughton (Charlize Theron), super agente dei servizi segreti inglesi, in missione a Berlino alla vigilia della caduta del Muro per recuperare un documento comprovante scottanti retroscena riguardanti personalità politiche e servizi segreti; va da sé che questa lista nelle mani sbagliate provocherebbe l’inasprimento delle tensioni tra URSS e Occidente. Con l’aiuto del collega Percival (James McAvoy), Lorraine dovrà fare di tutto (e lo farà…) affinché il documento non cada in mano al KGB, guardandosi le spalle da tutto e tutti e non fidandosi di nessuno.

Il film si serve della collaudata struttura a flashback: Lorraine, a colloquio con il suo superiore e la CIA, fa rapporto di quanto avvenuto, ossia gli eventi che compongono la storia. I due piani temporali si intervallano, stemperando la frenesia della missione e al contempo stimolando la curiosità per come andrà a finire. E in ultimo, riservandosi la possibilità di un ulteriore graffio narrativo finale al di fuori della struttura.

Pur considerando tutte le più che competenti spalle, la pellicola segue le mosse di Lorraine: bellissima, super addestrata e letale, finemente sarcastica; insomma atomica. Una sorta di supereroe/giustiziere senza poteri soprannaturali ma con elevato istinto di sopravvivenza e sempre pronta a elargire botte da orbi. Ci si fa un’idea del personaggio quando ci viene presentato: immerso in una vasca da bagno con acqua ghiacciata, il corpo e il volto tumefatti. Un personaggio che non si vede mai sorridere ma non per questo privo di spessore psicologico (l’unico bagliore di sentimento ravvisabile in un’avventura amorosa con una spia francese di nome Delphine). Merito della notevole performance di Charlize Theron, calatasi ancora una volta in una parte a lei inedita e tuttavia ineccepibile (impegno comprovato anche dal suo ruolo di produttrice del film).

Il contesto spazio-temporale in cui si muovono le spie è la Berlino del 1989, città ricettore principale di tutti i cambiamenti sociali, culturali e di costume in atto in quel periodo, ma soffocata dal Muro. L’ambiente di un paese che accumula tutto questo e pronto ad esplodere come una bomba ad orologeria viene ricreato con dovizia di particolari e tratteggiando una tensione palpabile. Cinematograficamente parlando, una menzione speciale va alla colonna sonora di quel periodo che diventa un obbligo (Clash, Nena, Falco, ecc.) e al sapiente uso della fotografia alle luci al neon colorate.

In linea con questo fervore, il regista David Leitch, già stuntman e coordinatore, adatta la graphic novel The Coldest City con i tempi giusti, rendendo il risultato serrato e coinvolgente. Il vero plus però è l’eterogeneità del suo stile: attinge qua e là dalla tecnica di Guy Ritchie e dei Wachowski di Matrix, ma dà il meglio di sé in un sorprendente piano-sequenza, di ispirazione cuaròniana, di combattimento e successivo inseguimento tra Lorraine e degli agenti russi, regalando un mix di camera a mano e realismo davvero impressionante. Intrattenimento di alto livello quindi, grazie a mestiere e coordinamento degli attori.

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