Zona d'ombra

Zona d’’ombra – Una scomoda verità – Peter Landesman

In una giornata qualunque di lavoro, il neuropatologo Bennet Omalu (Will Smith) esegue l'autopsia sul corpo dell'ex giocatore di football Mike Webster, vecchia gloria locale perduta nei ricordi delle persone e nei fiumi di alcol che però non giustificano la condizione nella quale il dott. Omalu trova il cervello del giocatore. Da qui parte l’avventura del medico nigeriano alla scoperta della encefalopatia cronica traumatica, CTE, una malattia degenerativa dovuta a ripetuti colpi subiti alla testa. Ci si mette poco a collegare la malattia alla fine ingloriosa di molte star del football americano.

Zona d'ombra (Concussion) è un film di Peter Landesman che mette in scena la travagliata vita del neuropatologo Omalu. Travagliata in quanto la sua scoperta è stata a lungo tenuta nascosta, combattuta in tutti i modi dalla NFL, National Football League, e la sua vita messa ripetutamente a soqquadro dalle autorità statunitensi pur di non mettere a repentaglio milionari interessi economici e non far inceppare una delle fabbriche di sogni più fruttuose d'America. Negli Stati Uniti, infatti, il football non è solo uno sport: un fenomeno culturale, certo, ma anche uno dei fattori della mobilitazione sociale di alcune famiglie le quali riescono a mandare i propri figli al college solo grazie alle borse di studio per meriti sportivi. A costo della vita stessa.

Zona d'ombra Will Smith Concussion

Will Smith è abile nell'immergersi in uno di quei pochi ruoli drammatici che gli sono stati finora offerti nella sua carriera. Ricordando immediatamente i due personaggi già interpretati per Gabriele Muccino, il dott. Omalu gode dell'accento nigeriano, di una forza di volontà superiore alla media comune e la voglia di essere un vero americano, come sottolinea più volte, forse anche quando il sogno americano del successo lo delude e lo costringe a rivalutare la sua esistenza e il suo lavoro. Un'interpretazione vigorosa che sfocia in alcuni punte d'eccesso dove l'enfasi della retorica prende il sopravvento.

Landesman, quasi fossero due superiori Marvel, mette in scena lo scontro morale tra le due facce della stessa medaglia. Il fine giustifica i mezzi? La verità è solo un optional o dovrebbe far parte del pacchetto base? Il football, lungi dall'essere messo in primo piano – scelta azzeccata che rende il film facilmente fruibile in tutto il mondo, Italia compresa – viene praticamente comparato all'alcool o alle sigarette. È qualcosa che piace fare, ma che sulla lunga distanza può uccidere. Non c'è alcun prescrizione, ma solo informazione, ricollocando immediatamente questo film tra i biopic e il giornalismo investigativo. Non è un caso che Landesman sia un giornalista e forse, in questo caso, risiede qui il più grande limite di questo film: sul versante cinematografico c'è poco o niente. La storia viene raccontata in modo lineare, la visione che ci viene proposta è classica. La regia è appiattita sull'investigazione della verità nascosta e sulla vita privata dell'uomo. Come accaduto per il recente vincitore dell'Oscar, Il caso Spotlight, l'importanza della storia da raccontare ha schiacciato completamente lo spettacolo cinematografico. In poche parole, il film è interessante solo per quello che racconta in quanto il come è storicamente passato in secondo piano.

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